image_pdfimage_print

Pasquale Acconciaioco/Grazie a Dio sto bene. Non mi posso lamentare, visto che tanti stanno peggio di noi.
Ma anche qui abbiamo vissuto momenti veramente terribili e difficili, di paura e ansia per la nostra incolumità. Qui al 2A tutti hanno rischiato.
Provo a mettere in sequenza i ricordi e a raccontare come è andata. Fra il 7 e l’8 di marzo, in TV si cominciarono a vedere le immagini delle rivolte che stavano scoppiando in alcune carceri. Ogni volta che la televisione affrontava il tema “carcere”, anche qui la notizia era sottolineata da urla, e dal rumore di pentole, piatti percossi per fare risuonare la rabbia: la cosa di per sé può considerarsi ordinaria in questi luoghi, un modo pacifico per far sentire la nostra voce.
E anche in questo caso, almeno inizialmente, era così. Si diffondeva l’entusiasmo per un possibile indulto. Ma nessuno aveva previsto che anche qui sarebbe scoppiata la rivolta.


La mattina del 9 marzo, all’apertura delle celle, ci venne comunicato che sarebbe venuta la direttrice per informarci del blocco dei colloqui coi familiari.
Da quando la scuola era stata chiusa e tutte le attività erano state sospese, scendevo tutti i giorni all’aria ad allenarmi, e anche quella mattina ho deciso di trascorrere due ore in movimento. Dai “passeggi” si sentivano detenuti che urlavano, fischiavano, sbattevano e si raccomandavano dalle finestre di fare lo sciopero della fame, rifiutando il vitto. Quando sono rientrato in sezione la situazione era apparentemente calma ma, all’improvviso, un ragazzo ha iniziato a spaccare le sedie di plastica davanti al cancello del corridoio e, aiutato da altri, ha dato fuoco ad alcune bombolette di gas lanciandole verso la postazione degli agenti, che sono fuggiti.


Poco dopo i detenuti del 2B hanno sfondato il cancello della sezione e sono usciti, seguiti, a quel punto, da alcuni del 2A. che hanno sfondato le sbarre dell’ingresso con una branda, a mo’ di ariete. E da quel momento è iniziata la devastazione: la furia dei detenuti si è riversata su ogni oggetto; sono stati distrutti tavoli, computer, finestre, e tutti gli arredi degli uffici degli appuntati e degli ispettori. In poco tempo, anche i detenuti del 2C e del 2D sono riusciti a uscire dalla sezione. In poco tempo tutto il secondo piano è stato distrutto e bruciato. Stessa cosa al primo piano, come ho saputo in seguito.


Al terzo piano solo la sezione 3D è stata coinvolta nella sommossa, mentre, a quanto abbiamo saputo, le altre sezioni non hanno partecipato.
L’intero istituto era comunque nelle mani dei rivoltosi, che si muovevano da piano terra fino al tetto, mentre gli agenti erano scappati. Fortunatamente l’area pedagogica, con la biblioteca e le aule scolastiche, è stata preservata.
Io sono rimasto in sezione ad osservare ciò che accadeva. Dalle finestre si vedevano arrivare assistenti, polizia di stato e carabinieri. Un elicottero sorvolava il carcere per controllare eventuali evasioni.
Non vedevo l’ora che gli agenti entrassero per riprendere in mano il controllo del carcere, perché la situazione degenerava sempre di più. E ho dimenticato di dire che le infermerie sono state saccheggiate, per fare razzia di psicofarmaci. Molti, a seguito dell’assunzione di massicce quantità di farmaci, erano completamente alterati e non erano più consapevoli di ciò che dicevano e facevano.


Alcuni detenuti del 2A hanno parlato con l’ispettore dalla finestra, descrivendo la situazione all’interno, e lui ha detto che quella sera non sarebbero entrati. E questo mi preoccupò tantissimo.
La mattina del 10 marzo alcuni detenuti hanno presentato richieste al comandante, chiedendo anche di poter parlare con un procuratore e un magistrato. Il procuratore è arrivato poco dopo, ma il dialogo è stato del tutto inutile.
Verso le 14 gli agenti sono entrati in tenuta antisommossa e finalmente sono riusciti a riprendere il controllo del carcere chiudendoci in cella. Mi sono sentito sollevato, più sicuro e protetto, ho sentito la possibilità di tornare alla “normalità”, grazie agli appuntati, che avrebbero ristabilito l’ordine e la sicurezza.

Quella sera mi sono addormentato alle 20:30: ero troppo stanco, da due giorni che non chiudevo occhio. Ma verso le 23 siamo stati svegliati dalla distribuzione dei pasti da parte della direzione, che li aveva fatti entrare dall’esterno. Sono rimasto allibito, non mi aspettavo questo gesto visti i gravissimi danni causati dalla popolazione detenuta all’amministrazione. Ho riflettuto, dicendomi ancora una volta che la legalità è sempre la miglior scelta. Un grande filosofo diceva: la miglior vendetta è quella diversa dal mio nemico. La vendetta sul nemico non paga mai, e tanto meno può essere l’arma brandita dallo Stato.

Nelle giornate successive, visto le condizioni della struttura, come mi aspettavo, siamo rimasti chiusi in cella in cella 24 ore su 24, senza poter andare all’aria; solo la doccia era consentita.
Siccome i telefoni erano stati distrutti non potevamo più contattare i nostri familiari. Tutti siamo stati preoccupati per i nostri cari, e per la preoccupazione che a loro volta avranno provato seguendo la cronaca della rivolta in TV. Grazie e Dio, dopo una settimana è arrivato un nuovo telefono: attualmente ci è consentito effettuare tre chiamate a settimana. Restare chiusi tutto il giorno in una cella di 11 mq è stata una severa punizione, nemmeno chi è in isolamento o chi è in regime di massima sicurezza è in queste condizioni, visto che può andare all’ora d’aria. Questo regime si è protratto per due lunghissime settimane fino al 24 marzo.
Da un lato comprendo questa condotta mantenuta dalla direzione, dal momento che non c’erano più, per gli agenti, condizioni di lavorare in sicurezza.
Ma noi detenuti non ce la facevano più: avevamo tutti mal di schiena, alle gambe e alle articolazioni perché costretti a rimanere sdraiati a letto o seduti, in un immobilismo innaturale. Adesso possiamo uscire due ore e mezza al giorno nella sezione a camminare su e giù, ed è meglio di niente, almeno sgranchiamo un po’ le gambe.
Più di 50 detenuti, individuati come promotori della sommossa, sono stati trasferiti.

In questa situazione la possibilità di comunicare in Skype è davvero preziosa. Ogni settimana parlo con la mia famiglia per un’ora: è un momento molto bello, perché mi sembra di entrare e stare realmente a casa mia.
Sentiamo molto la mancanza dei volontari, in quanto, come diciamo spesso, voi siete gli anelli angeli di questo luogo deprimente. Per i cattolici manca anche la messa domenicale. Preghiamo il Signore, perché questo virus venga presto contenuto in modo da poterci di nuovo incontrare, abbracciarci e ripartire meglio di prima.