image_pdfimage_print

di Veronica del Puppo/ La Val Rosandra è una riserva naturale in provincia di Trieste, parte del confine naturale tra Slovenia e Italia. Vi si trovano sentieri rocciosi, rupi e ghiaioni. Camminando tra gli arbusti e gli alberi di questi tracciati dall’aspetto selvaggio si possono trovare scarpe, capi di vestiario o altro equipaggiamento: sono gli oggetti abbandonati dai migranti provenienti dalla rotta dei Balcani, che una volta riusciti ad attraversare il confine, si liberano di tutti gli averi superflui, prima di entrare in quella che è considerata la prima vera città europea, Trieste.

Perché è così che i migranti giungono in Italia, dice Gianandrea “Nascosti dall’ombra, spesso di notte […]. E tentano di venire alla luce in qualche modo, e infatti anche fisicamente è così. Arrivano la sera, vedi queste figure che appaiono improvvisamente, proprio vengono fuori dall’ombra”. Da qui il nome scelto dall’associazione, Linea d’Ombra, un’organizzazione di volontariato che offre assistenza e aiuto soprattutto ai migranti in transito, cioè coloro che giungono a Trieste, ma poi proseguono il viaggio oltre il confine italiano.
All’atteggiamento noncurante della maggior parte della cittadinanza e delle istituzioni comunali, Lorena e Gianandrea rispondono con un’azione che vuole volutamente rimanere alla luce, visibile e pubblica. In Piazza della Libertà, davanti alla stazione di Trieste Centrale, ogni sera dalle 19 in poi un piccolo gruppo di volontari organizza distribuzione di cibo, vestiario e cure mediche.

Al centro della piazza, 70 anni, con un baschetto rosa e il rossetto sulle labbra, spicca Lorena. Seduta su una panchina rivestita di una coperta isotermica gialla, cura a turno i piedi e le ferite delle persone riunite intorno al suo carrettino.
È da lei che è partito tutto, rivela Gianandrea. Quando hanno deciso di reagire all’indifferenza della città e delle istituzioni dando inizio a questa rete, Lorena ha infatti “trovato il modo giusto” per avvicinare queste persone, superando le barriere linguistiche e la diffidenza nei loro confronti: “Prendere, quasi a forza un ragazzetto, farlo sedere su una delle panchine della piazza davanti alla stazione, tirargli via le scarpe e le calze, immaginate che puzza. I piedi gonfi, con tante piccole ferite e ha cominciato a curargliele”. E così si sono avvicinati anche gli altri.
È “un contatto con il corpo che va oltre alla lingua, che ti permette di superare quella barriera che c’è tra persone così diverse, come può essere diverso un afghano che ha messo tre anni a venire dal suo territorio in Italia, rischiando la vita ogni mese, soffrendo la fame, la sete, la violenza fisica, le torture”.

Migranti che però la città sembra voler dimenticare e nascondere alla vista. Nell’indifferenza del Comune che nega loro un luogo dignitoso, sono infatti molto spesso costretti a dormire nel Silos. Si tratta di un complesso che comprende un parcheggio su più piani, un ex supermercato chiuso da diversi anni e il rudere del vecchio magazzino del porto, la parte più consistente, una fatiscente architettura ad archi priva del tetto per quasi tutta la sua lunghezza, dove trovano spazio varie tende da campeggio nelle quali i migranti, in assenza di un altro posto, passano le notti.
Un luogo adiacente alla stazione ferroviaria, percorsa ogni giorno da pendolari e turisti e che tuttavia sembra un mondo parallelo. Dalla luminosità dell’esterno si entra nel buio dato dall’ombra delle enormi arcate. L’interno è umido e si cammina su un terreno sconnesso, disseminato di scarpe spaiate, vecchie coperte, contenitori di cibo vuoti e oggetti di ogni genere. Nessuno sembra occuparsi di raccogliere i rifiuti in questo posto invaso dai topi, privo di docce, servizi igienici e acqua potabile, le necessità basilari di ogni essere umano.

Perché quello di non fornire un riparo dignitoso ai richiedenti asilo, ma anche alle persone in transito è, dice Miriam, responsabile del Centro Diurno della Comunità di San Martino al Campo, “un problema strutturale, cioè non c’è la volontà politica di farlo […]. Esiste l’obbligo per il sindaco di garantire la sicurezza e anche l’obbligo di garantire la salute pubblica, sicurezza pubblica e salute pubblica. Sicurezza nel senso che non caschi in testa ai migranti che vanno a dormire al Silos, un pezzo del Silos che sta crollando”.
Una dignità che queste associazioni tentano ogni giorno di restituire. A volte anche solo dando ascolto, cantando e ballando insieme. Conclude Gianandrea “È un consistere, uno stare lì e in una condizione, in una situazione, umana”.
Apparentemente non a caso su un arco del Silos si può scorgere una scritta, quasi un monito, “Humans are living here”.


TORNA ALL’INDICE