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Piazza Grande dedica il numero di marzo alle donne e a tal proposito Anna Bellisario e Silvia Lazzari hanno realizzato un’intervista con Grazia Lesi, ginecologa del Centro per la salute delle donne straniere di Bologna.

(Un’anticipazione del numero di marzo del giornale di strada Piazza Grande)

di Anna Bellisario e Silvia Lazzari

Per approfondire la questione della salute delle donne straniere e dei loro figli abbiamo intervistato Grazia Lesi, ginecologa dal 1996 al Centro per la salute delle donne straniere e dei loro bambini (CSDSB) della AUSL di Bologna. Nel territorio bolognese esistono, infatti, alcuni ambulatori ad accesso facilitato rivolti alla popolazione straniera. Sono previsti spazi concepiti come consultori familiari, ad accesso libero, che forniscono assistenza per la salute della donna e del bambino stranieri, non regolari o in fase di regolarizzazione in Italia e con difficoltà linguistiche. Il Centro per la salute delle donne straniere e dei loro bambini è stato istituito nel 1991 con l’obiettivo di raccogliere i bisogni delle donne straniere e predisporre percorsi socio-sanitari di integrazione, nel rispetto delle diverse culture e delle leggi. Il contesto normativo di riferimento è rappresentato dalla legge regionale del 24 marzo 2004, n. 5 sull’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati, che garantisce alle donne immigrate parità di trattamento con le cittadine italiane e la tutela sociale, promuovendo e sostenendo servizi socio-sanitari che siano attenti alle differenze culturali. Questa legge garantisce inoltre la tutela del minore conformemente ai principi stabiliti dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989.

1) Quali sono le principali ragioni per cui le donne straniere si rivolgono al CSDSB?
Principalmente per bisogni legati alla salute riproduttiva: contraccezione, tutela della gravidanza, problemi del ciclo mestruale, interruzione volontaria della gravidanza non desiderata, problemi di coppia o quando ci sono difficoltà a rimanere incinta. Il CSDSB offre informazioni e servizi che supportano la donna e la coppia nelle scelte di procreazione consapevole. Spesso, a causa delle difficoltà linguistiche e di orientamento, l’accessibilità ai metodi contraccettivi può essere difficile. Nel 2019 si sono registrati 1148 accessi al CSDSB per prestazioni ginecologiche e ostetriche: 512 accessi per il controllo della gravidanza, 35 richieste di interruzione volontaria della gravidanza, 601 visite ginecologiche.

2) Come avviene l’alfabetizzazione sanitaria?
Le donne straniere arrivano al CSDSB tramite altre donne o tramite altri servizi pubblici o di volontariato socio-sanitario presenti sul territorio. Molti ambulatori del volontariato o che si occupano di accoglienza dispongono di un servizio ginecologico per poche ore alla settimana. Gli operatori del CSDSB ascoltano le donne e forniscono informazioni sui diversi servizi sanitari e sociali presenti sul territorio e quindi le indirizzano tenendo conto delle specifiche esigenze.

3) Come viene svolto il lavoro d’équipe?
Inizia nello spazio di accoglienza, dove vengono ascoltate le storie delle utenti e individuati i bisogni, con la collaborazione delle mediatrici linguistico-culturali. Qualora al bisogno si possa rispondere fuori dal CSDSB, perché la donna ha le risorse personali e linguistiche per accedere ai servizi della città, la si indirizza ai servizi socio-sanitari presenti a Bologna e in provincia, altrimenti le si offre assistenza all’interno del CSDSB. L’équipe è composta da un’assistente sanitaria (accoglienza) per la ginecologia e una per la pediatria, una ginecologa, una ostetrica, due pediatre e tre mediatrici linguistico-culturali. Sono previste tre tipologie di mediazione: cinese, russa, araba. Ovviamente, esiste anche la possibilità di offrire altri tipi di mediazione fissa: inglese e francese, e su richiesta le altre lingue.

5) A seguito delle trasformazioni dei flussi migratori in che misura sono cambiate le nazionalità delle donne che accedono al CSDSB?
Con il modificarsi dei flussi migratori è cresciuto esponenzialmente il numero delle donne africane che si rivolgono al CSDSB mentre prima la percentuale di donne cinesi era prevalente. Ci sono poi donne moldave, ucraine, albanesi e peruviane, che arrivano per diverse ragioni, ma il dato significativo riguarda le donne di origine africana e in particolare le donne nigeriane.

6) Quali informazioni sono rilevanti in merito alla salute delle donne vittime di tratta?
La questione della tratta attualmente coinvolge una percentuale consistente di donne presenti nei diversi centri di accoglienza. Queste donne potrebbero aver subìto episodi di violenza nel percorso migratorio soprattutto se hanno attraversato la Libia. Negli ultimi anni sono aumentati drasticamente i casi di donne nigeriane vittime di tratta, secondo anche quanto dichiarato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) in un rapporto del 2015. Tuttavia, le donne che chiedono assistenza spesso hanno difficoltà nel raccontare le loro storie e quindi in certi casi si può solo ipotizzare di essere in presenza di vittime di tratta ma è difficile avere certezze assolute. Le ricerche dell’OIM sono fondamentali per individuare queste difficili situazioni perché sottolineano i fattori di rischio, che ogni professionista dovrebbe conoscere.

7) Ci sono stati cambiamenti nelle modalità di intervento del CSDSB dopo l’entrata in vigore dei decreti immigrazione e sicurezza?
Il CSDSB ha un rapporto storico privilegiato con i centri di accoglienza ed è stato coinvolto nel progetto europeo “CARE – Common Approach for Refugees and other migrant’s healt”, che ha l’obiettivo di promuovere e sostenere la salute dei migranti negli Stati Membri a forte pressione migratoria. Una parte di questo progetto europeo riguarda la salute delle donne rifugiate o richiedenti asilo. A seguito dell’entrata in vigore dei decreti sicurezza e immigrazione molte donne che si rivolgono al CSDSB stanno riscontrando numerose difficoltà a regolarizzarsi, poiché è stata abolita la protezione umanitaria e sono diventate più rigide le norme sulla concessione della protezione internazionale.

8) Il CSDSB prevede un progetto sulle mutilazioni genitali femminili (MGF). Potrebbe darci maggiori informazioni?
Si tratta di un fenomeno che non ha niente a che fare con la religione, le cui origini secondo alcune tesi risalgono all’Egitto del periodo faraonico quando è nata l’abitudine della “circoncisione femminile” o meglio della modificazione dei genitali femminili con lo scopo di preservare la verginità della donna. Questa pratica è ancora molto diffusa in Etiopia e in Eritrea ma anche in Mali e in Nigeria, anche se in misura minore. È un’abitudine così radicata nella cultura di questi paesi che chi non ha genitali modificati non viene considerata “normale”. Oggi, la donna con una mgf trova a Bologna una rete di sostegno che vede la collaborazione tra i servizi di Consultorio Familiare e il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Maggiore, che effettua gli interventi di deinfibulazione, ovvero di ricostruzione dei genitali esterni, nel caso di mgf di terzo grado. Le donne straniere sono informate dai professionisti che questa pratica è vietata in Italia. È molto importante informare le neomamme sul tema delle mgf per prevenire questa pratica nelle figlie. Al momento della diagnosi bisogna evitare atteggiamenti che possano far sentire la donna inadeguata o in colpa. Anche il coinvolgimento del compagno, ove è possibile, è fondamentale. A questo proposito, in alcuni casi, il ruolo del partner è stato decisivo nell’aiutare la donna ad accettare la deinfibulazione prima del parto. Per comprendere meglio le motivazioni di questa pratica si potrebbe paragonarla alla modificazione dei piedi femminili nella Cina Antica: i “piedi di loto”. Questa antica usanza cinese consisteva nel fasciare i piedi delle bambine e modificarli per non farle allontanare da casa riducendo così la loro autonomia. La si può paragonare, inoltre, a molte altre usanze, diffuse nel mondo che mirano a limitare e a controllare la sessualità.