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“Ho incominciato a coltivare un orto con mia madre e mi ricordo tutti i consigli, a volte contraddittori, che mi davano i miei vicini: era il popolo degli orti, un popolo che ho poi imparato ad amare”.
Così inizia a raccontare Patrizia Preti, che è stata Presidente dell’area ortiva degli Orti Salgari, nella periferia nord di Bologna, e che ora lavora nel direttivo provinciale ANCeSCAO di Bologna dove si occupa, appunto, ancora di orti.

ANCeSCAO Emilia Romagna è molto attento a questa tematica e mi ha coinvolto, anche a seguito del convegno regionale ‘Ortaggi in rete’ che si è tenuto a Parma nello scorso ottobre, per progettare nuove piste di sviluppo sociale e ambientale di questi importanti spazi del nostro territorio”.

Il progetto che sta seguendo riguarda le aree ortive proiettate però nel futuro con tutti i cambiamenti e le sfide che si stanno delineando.
“Gli orti sono un patrimonio unico per ANCeSCAO – sostiene Patrizia – e abbiamo pensato di rivitalizzarlo”. In che modo? Intanto occupandosi di regolamenti e convenzioni; sono state richieste alle varie aree ortive della Regione Emilia-Romagna una serie di documenti come i regolamenti interni, le convenzioni o accordi con gli enti locali in modo da avere una visione generale e poter anche fare un’azione che renda coerente il tutto.

“I tempi sono cambiati, i volontari stanno cambiando – spiega Patrizia – non ci sono più solo gli anziani che coltivavano il loro pezzettino di terra e chiacchieravano con il vicino”. Ora sono presenti anche molti giovani che scoprono questa attività perché piacevole. Ci sono le famiglie con i bambini, ci sono le persone con qualche fragilità. “Sì perché la terra aiuta, fa ritrovare le proprie radici, fa superare le crisi”, afferma con decisione Patrizia che si interessa molto della funzione terapeutica che hanno gli orti, anche per via della sua precedente professione, visto che è stata medico pediatra all’ospedale Maggiore.

I volontari sono comunque tanti, un piccolo esercito di ortolani, parliamo di oltre 15.000 persone che, insieme alle loro famiglie, ogni giorno si prendono cura della terra, dell’ambiente, dell’alimentazione, della coltura/cultura e delle tradizioni contadine che appartengono a questa Regione.

Altro tema da affrontare è come gestire le diversità, ad esempio come rendere accessibili gli orti alle persone che hanno difficoltà motorie. “Per rispondere a queste esigenze occorrerebbe strutturare l’area ortiva in un certo modo e anche i regolamenti dovrebbero essere aperti e sensibili verso queste problematiche”.

La diversità si nota subito quando gli ortolani provengono da paesi lontani e hanno comportamenti diversi che a volte possono entrare in conflitto con altri ortolani. “Come quel coltivatore dello Sri Lanka – ricorda Patrizia – che aveva costruito dei tralicci enormi dove crescevano delle zucche. Bene, quelle strutture ombreggiavano gli orti dei vicini dove non cresceva niente. Ecco qui bisogna intervenire con tatto e basandosi sui regolamenti per risolvere situazioni di questo tipo”.

L’altra grande sfida che spetta alle aree ortive è quella che riguarda la biodiversità e il rispetto dell’ambiente. Questo aspetto è presente nei regolamenti ma mancano delle modalità di controllo, così capita, soprattutto tra gli ortolani più anziani, che si faccia un uso di prodotti chimici. “Vogliamo implementare la tecnica del compostaggio, ma è soprattutto nel risparmio dell’acqua che occorre lavorare: la cultura che vede l’acqua come un bene da non sprecare non è ancora diffusa”.

L’ortolano del futuro deve anche avere una funzione attiva nella difesa ambientale, deve essere un interlocutore con gli enti locali nella gestione del verde. “Come sostiene Giovanni Barzocchi della Facoltà di Agraria di Bologna, l’ortolano è il custode del verde. È un’idea che a me piace molto – conclude Patrizia – ma per fare questo occorre anche un’altra cosa, è importante che nel popolo degli orti aumenti la consapevolezza di essere un’associazione, perché assieme si può fare molto”.