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Negli ultimi due anni la pandemia ha messo in difficoltà e limitato tanti spazi e occasioni di socialità, creando particolare disagio alle persone più fragili. Ora che l’emergenza si è relativamente stabilizzata la necessità di aprire una riflessione e di mettere in atto progetti concreti è più urgente che mai. È in quest’ottica che è stato elaborato il progetto “Riapriamoci di nuovo… al centro”, finanziato dalla Regione Emilia-Romagna e promosso da Ancescao Emilia-Romagna in collaborazione con Arci. Gino Mazzoli, professore all’Università Cattolica, è impegnato in questo progetto e ce l’ha raccontato in questa intervista.

Com’è nata l’idea di “Riapriamoci di nuovo… al centro”?
Con la pandemia molti circoli hanno dovuto chiudere e questo ha determinato l’isolamento e in molti casi la disperazione di tante persone anziane. Alle difficoltà create dalla pandemia si sono aggiunti i carichi normativi che la nuova legge di riforma sul terzo settore impone anche ad associazioni molto piccole. Inoltre nelle APS spesso c’è  una quota fisiologica di iscritti con affiliazione debole perché la loro adesione è legata solo allo svolgimento di attività specifiche più che all’impegno sulle idee guida dell’associazione: l’unione di tutti questi fattori ha portato a una battuta d’arresto importante delle attività e delle iscrizioni ai  circoli.

La ripresa non può consistere solo nei ristori per tenere in piedi i circoli, anche perché i problemi che affrontano non sono legati essenzialmente ai fondi, ma alla povertà di relazioni e alle chiusure. Più che richiedere finanziamenti era importante trovare sostegno dalla Regione per portare avanti delle sperimentazioni che si concentrassero sulle modalità con cui mantenere attiva la cruciale funzione sociale dei centri anche in condizioni critiche.

Quali sono le attività e gli obbiettivi del progetto?
L’idea guida  del progetto è ripensare parzialmente alcune attività dei centri per recuperare le persone che hanno smesso di frequentare i circoli. Per fare questo stiamo conducendo insieme ad Arci un sondaggio in diversi centri e circoli:  interviste a presidenti e a campioni di iscritti che hanno smesso di  frequentare per capire le motivazioni che gli hanno portati ad abbandonare l’associazione e le condizioni alle quali riprenderebbero a frequentare. Alcune persone ad esempio sono state frenate dalle restrizioni per la pandemia, altre da lutti, altri ancora rappresentano una fascia di calo fisiologico legato a cambiamenti di abitudini.

A che punto siete e cosa verrà fatto in futuro?
La rilevazione è quasi conclusa e verrà restituita attraverso un report in autunno. La fase successiva del progetto, che partirà a breve, consiste nella scelta di alcune sedi in cui sperimentare nuove modalità che consentano alle persone di ritornare a frequentare i centri. Questa sperimentazione pensiamo possa offrire spunti utili anche per altre associazioni: per questo la Regione ha dato fiducia al nostro progetto che si concluderà nella prossima primavera.

Quali sono le difficoltà che vi siete trovati ad affrontare?
Bisogna considerare che questo ripensamento del lavoro dei circoli è un’occasione per rivisitare le modalità di adesione all’associazione e il nostro funzionamento interno. Ciò  inevitabilmente può collidere con abitudini consolidate. Così alcuni presidenti di centro hanno faticato ad aprire le loro porte all’esplorazione. Va tenuto presente che i nostri centri hanno caratteristiche piuttosto differenti: ve ne sono di quelli che rappresentano il centro del paese (o del quartiere), in grande sintonia e intreccio con tutto ciò che accade nel territorio; altri propongono attività tradizionali (ballo, carte, gite, …) con un’alta intensità relazionale, svolgendo la funzione cruciale di  manutenzione del tono psichico di una fascia di popolazione in costante aumento;  altri infine propongono tante attività anche importanti, ma  giustapposte, poco integrate tra loro. E tra i circoli di quest’ultimo tipo che sembra più difficile trovare disponibilità a ripensarsi. Comunque sono ottimista sulla riuscita di questo  progetto, che ha del resto una valenza strategica del tutto peculiare: sostenere le persone sul piano psicologico e sociale in un tempo pandemico è cruciale, perché il sostegno esclusivamente economico e sanitario (pur ineludibile) rischia di tenere in piedi degli zombi.