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di Giulio Lolli / Martedì 5 novembre nella biblioteca dell’area pedagogica della Casa Circondariale di Bologna, si è svolto l’incontro che la redazione di “Ne Vale La Pena” ha organizzato con la Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna. La dott.ssa Maria Letizia Venturini, oltre ad arrivare in perfetto orario, si è presentata da sola e ben disposta a rispondere a tutte le domande che le sono state poste dalla gremita quanto interessata platea.

Dopo una breve descrizione dell’attività svolta dalla Redazione nei suoi dodici anni di vita, abbiamo deciso di rompere il ghiaccio leggendo la “lettera ad un Magistrato di Sorveglianza”, frutto di un lavoro di gruppo e di riflessioni condivise durante i nostri incontri. È una sorta di appello rivolto alla figura del Magistrato di sorveglianza, nel quale si è cercato di far capire, anche all’opinione pubblica, che una buona parte delle persone private della libertà personale cercano un confronto franco e rispettoso con le istituzioni, senza però avere il timore di sottoporre nei giusti modi le giuste doglianze. Buona parte dei detenuti temono però di essere considerati come meri fascicoli di reato, nell’eccesso di discrezionalità e nei tempi di attesa delle decisioni. Le lunghe attese per avere risposte, magari anche negative, costituiscono una dura prova e sono un tema molto sentito per chi vive recluso. A questo si aggiunge la preoccupazione che l’oscura caligine giustizialista che pervade l’opinione pubblica, possa penetrare anche negli uffici dell’istituzione preposta proprio a garantire la tutela dei diritti soggettivi nell’esecuzione penale.

La dott.ssa Venturini, pur rilevando che la lettera appariva in alcuni passaggi eccessivamente ingenerosa, ha condiviso, con la franchezza che ha caratterizzato il suo intervento, che la funzione rieducativa della pena è un dato oggettivo che l’opinione pubblica sembra rimuovere e che esiste un problema di sensibilità diffusa. Questa asserzione è emersa in risposta ad una richiesta di chiarimento su quanto introdotto dal decreto Nordio: la dott.ssa Venturini, in merito al meccanismo della liberazione anticipata, ha affermato che le nuove previsioni normative, lungi dal semplificare il procedimento, purtroppo lo hanno di fatto complicato, rendendo, almeno in questa prima fase, l’interpretazione complessa e non omogeneamente condivisa.

A mio avviso la riforma appena varata è priva di un qualunque concreto aiuto per abbassare il numero dei suicidi e delle recidive, che sono segni evidenti del fallimento del sistema penitenziario. La recidiva è tanto più bassa quanto più elevato è il rispetto dei diritti umani nelle carceri e quanto più è ampio l’utilizzo dei benefici e dei permessi previsti dall’ordinamento come forme di espiazione della pena. In merito a questo la dott.ssa Venturini ci ha però ricordato che le istanze vengono troppo spesso inviate solo perché si ritiene di essere nei termini, senza presentare né motivazione né un progetto credibile e soprattutto senza aver compiuto un profondo percorso riabilitativo sia a livello intimistico che concreto. Ma questo percorso, è bene ricordare, può essere adeguatamente affrontato solo con il supporto degli educatori e dei criminologi, a cui viene stanziato solo il 2% delle risorse che la politica riserva al funzionamento del sistema carcerario, contro il 63% riservato agli agenti penitenziari.
Se appare condivisibile il fatto che senza vedere dei concreti segni di maturazione sia impossibile concedere benefici, lo è meno la giustificazione che l’eccesso di tali richieste, considerando i tempi di attesa ed il numero dei rigetti, comprometta o rallenti le decisioni per chi ha dato ampia e sofferta prova di aver compiuto tale percorso.

Chi scrive ha subito, dopo mesi di attesa, il rigetto ad una domanda di permesso premio nonostante un comportamento carcerario ineccepibile, una profonda revisione di tutta la propria vicenda, il parere positivo della Direzione della Dozza e un percorso riabilitativo che era cominciato in piena libertà fisica e morale, quando avevo deciso di rischiare la mia vita per soccorrere in mare quella degli altri. La risposta della dott.ssa Venturini in merito a rigetti che appaiono inspiegabili, è stata quella di ricordarci che la difesa dei diritti dei detenuti include la protezione da potenziali rischi dovuti ad una troppa anticipata libertà, concessa appena il processo di revisione critica viene evidenziato anche dalla relazione, effettuata dall’equipe dell’area giuridico pedagogica del carcere, in favore di un percorso extramurario. La Presidente è apparsa favorevole ad un diretto rapporto fra persone ristrette e magistrati, ricordando a tutti, incluso i detenuti, che bisogna lavorare intelligentemente e intensamente per elaborare misure alternative al carcere.

Anche in merito al tema dell’affettività, molto sentito da chi vive in carcere, la dr.ssa Venturini risposto con franchezza che la situazione è in stallo, nonostante la sentenza della Corte costituzionale abbia affermato il diritto delle persone recluse a coltivare affetti ed intimità con i propri cari. In realtà nessuno prende l’iniziativa, né il Ministero né, tantomeno, le Direzioni degli istituti cui competerebbe l’individuazione di soluzioni adeguate. La Presidente ha suggerito, al momento, di presentare istanza alla Direzione e avverso un eventuale rigetto, reclamo ex art. 35-bis ord. penit. al Magistrato di sorveglianza.

In conclusione credo che i punti di vista espressi durante questa bella occasione di sensibilizzazione reciproca offerta dalla cordiale visita della dott.ssa Venturini, possano convergere ricordando ai Magistrati di sorveglianza l’asserzione, espressa dalla Cassazione, che l’ottica del giudice di sorveglianza non deve guardare al fatto commesso ma all’uomo che si ha davanti; e ai ristretti in attesa di un beneficio che quell’uomo, deve aver dimostrato con fatti concreti di essere divenuto tale.