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di Andrea Pancaldi / Mentre scrivo queste righe, la mia collega Chiara mi dà la notizia della scomparsa anche di Andrea Canevaro. Mi viene in mente che su BandieraGialla ormai da diversi anni mi trovo a scrivere articoli “In ricordo di…” (Gianni Selleri, Cesare Padovani, Luigi Pedrazzi, Iole Mignardi e forse anche qualcun altro) almeno nella stessa misura di cui scrivo di disabilità, volontariato, crimini di guerra italiani nella seconda guerra mondiale.

Sono mancate persone che ho avuto la fortuna di avere come maestre e maestri, tutte figlie culturalmente, e anagraficamente, come me, del ‘900, tutte a cavallo tra mondo cattolico e sinistra, usando una equazione banale e probabilmente logora.

Non fa eccezione Enrica Lenzi, che ho conosciuto a metà degli anni ’80, terminato da alcuni anni il servizio civile in AIAS come obiettore di coscienza e alle mie prime armi lavorative.

Enrica è stata Presidente di AIAS, una delle associazioni dell’area disabilità, per un periodo molto lungo, direi più di 20 anni ed in quel periodo è stata capace di traghettare l’associazione, ma anche il dibattito cittadino, dalla fase nascente della seconda metà degli anni ’70 (riforma sanitaria, deistituzionalizzazione, chiusura istituti e scuole speciali, integrazione, i gravi, i centri diurni, l’operatore/educatore… cito temi e parole chiave di quegli anni) alla stagione del tra non più e non ancora dell’area della disabilità in cui nascevano timidamente e carsicamente altri temi e attenzioni, come il protagonismo delle stesse persone disabili, le tecnologie, gli strumenti e le strutture informative, i temi dell’abitare non necessariamente ed eternamente in famiglia fino alla morte dei genitori. Temi che, pur tra luci ed ombre, e una lunga fase di stagnazione del dibattito sulla disabilità, sia a Bologna che a livello nazionale per almeno 20 anni, sono emersi del tutto da alcuni anni riempendo nel dibattito lo sparire dalla scena dei diversi scomodi, come immigrati e rom, sostituiti da diversi apparentemente meno scomodi come le persone disabili (… per dire che luci ed ombre… e sorprese sono sempre in agguato…).

Enrica lo ha fatto in quegli anni con lungimiranza e coraggio, resistendo anche alle critiche di parte degli associati che non capivano perché si dovessero spendere soldi per fare una biblioteca invece che per carrozzine o assistenza domiciliare o protestavano perché “quelli del CDH” avevano messo in testa a Francesca di riprendere gli studi che “… lei messa così male cosa se ne faceva poi…”.

Del resto il tra non più e non ancora lo ha vissuto anche nel suo impegno politico qualche anno dopo, partecipando alla creazione del polo progressista, dopo la fase di Mani pulite e del muro di Berlino, alla nascita del movimento dei Cristiano sociali e trascorrendo anche una legislatura al Parlamento come Senatrice. Fase difficile per lei, sia per gli impegni romani che per qualche malumore in associazione, qualcuno anche apertamente ostile, per il suo esporsi politicamente.

Fin qui l’Enrica pubblica, mi permetto di dire non tropo diversa da quella privata nel suo dipanare testa, anima e cuore. Come un giocoliere far fluttuare nell’aria le clavette dell’essere donna, madre, cittadina, senza mai farle cadere, senza mai poter essere rinchiusa in una unica etichetta.

La capacità, quando serve, di andare in direzione ostinata e contraria, prendendo a prestito il titolo di un CD di Fabrizio De Andrè, era una dote di Enrica che un giorno, preoccupata per il suo aver deciso, dopo tanti anni, di non essere più presidente di AIAS, e conscia che le presidenze lunghe e carismatiche hanno spesso anche controindicazioni, raccontò che aveva sognato una lunga strada con in mezzo un enorme macigno, e io a ridere ricordandole che di cognome da ragazza faceva Pietra.