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Emergenza coronavirus/Come rompere l’isolamento delle donne che subiscono violenza domestica

di Francesca Lisi

(Un’anticipazione del numero di giugno del giornale di strada Piazza Grande).

Mentre ogni spazio pubblico è sottoposto a stretti controlli di sicurezza per l’emergenza Covid-19, non sono previste misure di contenimento per la violenza di genere.
Barbara, Bruna, Rossella, Lorena, Gina, Viviana, Maria Angela, Alessandra sono le donne che, da marzo 2020, hanno perso la vita tra le mura di casa per mano dei loro conviventi. L’imposizione all’isolamento e la costante condivisione degli spazi familiari con il proprio maltrattante rende ancora più difficile le richieste di aiuto da parte delle donne.

Quale consiglio possiamo dare a chi in questo momento si trova in casa con un uomo violento? “Cercare in tutti i modi di rompere l’isolamento, anche se non è facile”. A rispondere è Angela Romanin di Casa delle donne per non subire violenza, associazione attiva da oltre 30 anni, che aggiunge “è fondamentale tenersi in contatto con persone di fiducia e contattare i centri antiviolenza che sono sempre aperti”. E se “nei primi giorni di lockdown le chiamate alla Casa delle donne erano calate vertiginosamente, come del resto in tutti gli altri centri antiviolenza d’Italia, dopo qualche giorno i telefoni hanno ripreso a squillare”, racconta Laura Saracino, Responsabile del Servizio Accoglienza del Centro. Un calo drastico che ha visto nel marzo 2020 un 50% di richieste in meno, rispetto al 64% nel marzo 2019. Altro dato interessante riguarda le richieste di aiuto in emergenza che in alcuni centri sono aumentate e in altri meno, “nel nostro Centro l’emergenza è rimasta stabile. Le nostre Case Rifugio sono sempre piene e in continua attività grazie alle operatrici che assistono le donne tramite chiamate, videochiamate o messaggi. La maggior parte del personale lavora in smart working, la parte restante in sede – muniti di guanti e mascherina e non trascurando la corretta distanza da mantenere” afferma Romanin. Nessuna viene lasciata da sola.

Come già fatto notare da molti, le conseguenze dell’emergenza sanitaria non colpiscono tutti allo stesso modo. Se da un lato i centri antiviolenza, gestiti con grande impegno da operatrici e volontarie, hanno dovuto adattarsi alle misure di sicurezza nazionale, dall’altro lato vivere a stretto contatto con il proprio aggressore rende ancora più difficile la denuncia. Per questo al numero telefonico 1522, promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità, gratuito e attivo 24 ore su 24, si aggiunge anche quello messo a disposizione da Casa delle donne: 3884017237, dove è possibile scrivere via Whatsapp per le donne che non si trovano nelle condizioni di poter chiamare. “I supporti tecnologici ci permettono di dare più strumenti possibili per denunciare e dire: io sono vittima di violenza” – afferma Laura Saracino. E così, andare in farmacia o a buttare la spazzatura, andare a fare la spesa o portare fuori il cane possono essere alcuni modi per inviare, ad esempio, un messaggio su whatsapp e non destare sospetti verso il proprio maltrattante. Angela Romanin fa chiarezza anche su come recarsi direttamente in un centro antiviolenza: occorrerà l’autocertificazione. Ma sarà possibile tutelare la privacy della donna?

“Come affermato dalla ministra Bonetti, appena scattata l’emergenza Covid-19, una donna ha giustificato motivo di allontanarsi da casa per un problema di violenza. È importante che esca con il foglio in bianco per non insospettire il maltrattante, ma dovrà compilarlo successivamente scrivendo lo stato di necessità”.

Dunque, riusciremo mai ad arginare se non a “curare” la violenza sulle donne? “La cura c’è! Ed è scritta nera su bianco nella Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica approvata il 7 aprile 2011, ndr). È come se avessimo già il vaccino pronto, però occorre che gli Stati lo usino e lo applichino, purtroppo lo Stato italiano sull’applicazione della Convenzione è molto carente” conclude Romanin.