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Di seguito un articolo dell’ultimo numero.

Reddito di cittadinanza: una misura utile per contrastare l’emarginazione adulta?

Intervista a Ilaria Avoni e Valentina Quagliato su reddito di cittadinanza e persone senza dimora.

In campagna elettorale il Reddito di cittadinanza è tornato al centro dell’attenzione nel dibattito pubblico, tra sostenitori e detrattori che si sono passati la palla dispiegando di volta in volta l’uno o l’altro lembo che l’avvolge. Quello in cui leggere un’importante misura di sostegno economico che rende possibile il sostentamento a famiglie e singoli individui, e quello in cui vedere una forma assistenziale che incide poco sull’effettivo inserimento lavorativo di chi lo percepisce e sul processo di autonomizzazione a cui idealmente è diretto. Quel che è certo è che è complesso trattare l’argomento perché la platea dei percettori del Reddito è varia e composita e, di conseguenza, esso può avere impatti molteplici e differenziati.

Sul tema della fruizione del reddito di cittadinanza da parte dei senza dimora ci siamo confrontate con l’operatrice Valentina Quagliato e con Ilaria Avoni, presidente di Piazza Grande.
Valentina ci ha illustrato come stanno andando i processi di richiesta e di fruizione del Reddito da parte delle persone senza dimora seguite dal Servizio sociale a bassa soglia di Bologna: “È molto difficile comprendere esattamente chi percepisce il reddito e chi non lo percepisce in questo esatto momento”, spiega alla richiesta di una stima numerica. “Questo perché la richiesta del reddito di cittadinanza è una richiesta che la persona fa da sola, la presenta fornendo delle autodichiarazioni. Da lì parte un iter che porta o a firmare un patto con lo sportello per il lavoro, oppure un patto con i servizi sociali”.

I servizi sociali gestiscono la pratica dell’utente tramite una piattaforma che si chiama GePI; tuttavia, dal momento della presentazione della domanda, la segnalazione potrebbe arrivare al servizio anche mesi dopo. Per quanto sia difficile stabilire numericamente il numero di percettori, Valentina afferma che “sicuramente c’è un calo rispetto a quando è stata introdotta la misura. Questo perché si sono intensificate tutte quelle situazioni per le quali le persone venivano escluse dal poter usufruire del reddito”.

La richiesta per il Reddito di cittadinanza può essere presentata se si soddisfano alcuni requisiti. Tra questi, il requisito di residenza e naturalmente di veridicità di ciò che la persona dichiara: “Abbiamo tantissime persone a cui il reddito in questo momento, in questi mesi è stato stoppato o revocato […].
Ora, è chiaro che le persone che seguiamo molte volte hanno difficoltà a dichiarare la residenza continuativa da almeno due anni in presenza attiva, e che ad esempio per le persone straniere è di dieci anni. È qualcosa che tante volte non hanno considerato, quindi hanno fatto richiesta autonomamente e adesso, oltre a trovarsi con il reddito interrotto, si stanno trovando con l’Agenzia delle Entrate che ha richiesto i versamenti fatti. […] Quando una persona si trova senza avere niente non pensa a che cosa può succedere dopo. Il punto è che poi, nel momento in cui ci sono dei percorsi che magari invece vanno a buon fine, quindi in cui le persone trovano lavoro e si riesce in qualche modo a cambiare la traiettoria del percorso, arriva l’Agenzia delle Entrate che ti chiede tutto indietro e quindi per tutta la vita ti porti dietro queste cose”.

Oltre alla difficoltà di attestazione della propria presenza sul territorio (da provare tramite la presentazione di documenti utili quali visite mediche, o registrazioni in centri di accoglienza), le tempistiche relative all’iscrizione anagrafica e al conseguente rilascio della residenza possono durare anche qualche mese. Tuttavia, secondo Valentina da questo punto di vista la situazione sembra essere migliorata da un paio d’anni. I problemi più grandi sono riscontrati, piuttosto, dalle persone straniere comunitarie: se non hanno lavorato negli anni precedenti e quindi non possono testimoniare di aver versato in qualche modo dei contributi, per ottenere la residenza devono pagare un’assicurazione sanitaria privata. Si tratta di un passaggio che complica e allunga molto le procedure.

Riflettendo sull’efficacia del Reddito nel reinserimento economico e sociale delle persone, Valentina afferma che “sicuramente il fatto di avere una piccola cifra a disposizione personale, di gestione, porta dignità. Perché una persona non deve chiedere ad altri per quei beni che sono comunque in qualche modo un po’ essenziali, ad esempio le sigarette, il tabacco, le ricariche telefoniche…

Un reddito di base è fondamentale per la vita delle persone”. Coesiste però con questo dato un’importante criticità: la carenza nell’ambito delle politiche attive del lavoro, che difficilmente consentono alle persone seguite dal Servizio di portare a buon fine il processo di stabilizzazione economica.

“Per la nostra fascia ci sono delle difficoltà nell’incentivo al lavoro”, continua Valentina, “perché stiamo parlando di persone che spesso hanno anche dei problemi dati da una destrutturazione nel percorso che li ha portati a vivere senza dimora, quindi la ricostruzione è complessa”.

Dal Reddito restano poi escluse le persone irregolari, per le quali “i percorsi di regolarizzazione sembrano una battaglia […]. È una fascia di popolazione molto grande che oltre a tutti i diritti negati perché sono irregolari sul territorio (non è possibile la copertura sanitaria se non quella di emergenza, non sono possibili i percorsi di inserimento lavorativo), chiaramente non possono accedere neanche a queste misure. E noi parliamo almeno di un 30% delle persone che seguiamo”.

Abbiamo chiesto una riflessione sul Reddito e, più in generale, sulle misure di contrasto alla grave emarginazione adulta anche a Ilaria Avoni.
“Il Reddito di cittadinanza fornisce un sostentamento minimo anche per persone senza dimora che con questo possono recuperare la dignità, al di là di coprire le loro spese quotidiane. La cosa più di valore è legata all’Housing First, perché è previsto che ci sia un contributo alloggio di 150 euro. Quindi il reddito di cittadinanza ha voluto dire, per alcune persone, poter accedere all’Housing First e riprendere un percorso di inserimento”.

Per quel che riguarda la questione lavorativa, la presidente di Piazza Grande porta avanti la stessa riflessione di Valentina: “È da tenere in conto che non tutte le persone, anche in contesti migliori, possono reinserirsi a livello lavorativo in tempi rapidi. Una persona che ha vissuto in strada tanto tempo è talmente deprivata di una serie di competenze, perché la condizione non le ha permesso di mantenerle, maturarle o svilupparle, che molto difficilmente riesce a stare all’interno di un contesto lavorativo che richiede determinati requisiti, o comunque per farlo può aver bisogno di tempi abbastanza lunghi. Quindi, di fatto in questo senso è un reddito di sostegno contro la povertà, non a favore di un reinserimento lavorativo. […] Va unito ad altro”.

Questo “altro” si può declinare in diversi modi, in parte sperimentati e in parte solo pensati. La presidente di Piazza Grande cita la legge regionale n. 14/2015 dell’Emilia- Romagna, che dovrebbe disciplinare il sostegno dell’inserimento lavorativo e dell’inclusione sociale delle persone in condizione di fragilità e vulnerabilità, attraverso l’integrazione tra i servizi pubblici del lavoro, sociali e sanitari.

Secondo il suo punto di vista, fino ad oggi la legge non è risultata del tutto efficace.

“Serve un supporto per la persona e per il contesto lavorativo”, sostiene Ilaria Avoni, portando l’esempio di un caso spagnolo: “Ci piacerebbe riprodurre il tipo di lavoro che l’associazione San Martín de Porres fa a Madrid; ha pensato a strumenti per il reinserimento lavorativo dei senza fissa dimora, come corsi di formazione base e percorsi di tutoraggio. L’obiettivo è creare un punto di riferimento a lungo termine tra la persona e l’azienda, soprattutto per coloro che hanno ricadute e si demoralizzano”.