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Emergenza coronavirus/Sportelli di sostegno psicologico, di ricerca di lavoro, raccolta di indumenti per chi già era svantaggiato prima

(Un’anticipazione del numero di maggio del giornale di strada Piazza Grande).

di Laura Esposito      

Don’t Panic è un patto di solidarietà e mutuo soccorso stretto a Bologna nel periodo di applicazione delle misure atte a contenere la diffusione del Coronavirus. Il suo obiettivo primario è la costituzione di una rete di associazioni e cittadini che collabori per far fronte alle problematiche insorte in seguito alla crisi socio-economica determinata dalla pandemia.
Le diseguaglianze sociali stanno emergendo, oggi, più inasprite e chiare: dalla mancanza di tutela contrattuale per le tipologie cosiddette “atipiche” di lavoratori e lavoratrici, alle difficoltà delle famiglie a basso reddito e all’impossibilità di stare a casa per chi non ne ha una. Pur rispettando la distanza fisica e le norme precauzionali di contenimento del contagio, Don’t Panic vuole promuovere un approccio più umano e meno allarmistico allo stato di emergenza attuale.

Fabio D’Alfonso, portavoce del comitato Pensiero Urbano e volontario attivo nella rete solidale anche attraverso il circolo Arci RitmoLento, ci ha raccontato com’è nato il progetto: “Come RitmoLento e Coalizione Civica abbiamo voluto allargare questo tipo di proposta alla città in una fase tanto drammatica, provando a costruire quante più attività possibili che potessero essere d’aiuto a chi sta vivendo doppiamente questa crisi, sia sanitaria che economica”.
Si è tessuta così, giorno dopo giorno, una trama sempre più ricca di cittadini e associazioni intenzionate ad agire per lo sviluppo di nuovi progetti e soprattutto per la messa a disposizione di competenze, che sono ciò che di più prezioso possa esistere in una simile situazione emergenziale, affinché la volontà di aiuto si concretizzi in maniera efficace e non si disperdano le forze.
Punto fondamentale della campagna è stato anche il coordinamento con le istituzioni: “C’è stata una disponibilità immediata nell’indagare quali potessero essere le forme di volontariato compatibili con le misure nazionali, poi man mano che crescevamo e dimostravamo di essere in grado di gestire la complessità della rete, i rapporti sono incrementati. Oggi esiste un piano di coordinamento abbastanza positivo e soprattutto efficace”, dichiara Fabio. Le molteplici attività e i numerosi sportelli da remoto attivati nell’arco di poco più di un mese, a partire da marzo (come lo sportello psicologico o l’Infopoint Lavoro), hanno rilevato un peggioramento di situazioni critiche già esistenti prima della pandemia. Oltre ad esse si fanno spazio però anche nuove problematiche di isolamento sociale che, come puntualizza Fabio, derivano proprio dal contenuto delle misure restrittive che solo negli ultimi giorni, dopo circa due mesi, stanno vedendo un primo allentamento.

Oltre allo sportello psicologico e a quello per il lavoro, tra i progetti promossi da Don’t Panic troviamo SottoCoperta, in collaborazione con Piazza Grande, una raccolta solidale di intimo e coperte per persone senza dimora; la spesa solidale; il gruppo scuola per la raccolta di materiale didattico ed elettronico; lo sportello affitti attivato tramite Pensare Urbano, che offre consulenza legale gratuita; l’agorà pubblica di Radio Leila, uno spazio di discussione sulla crisi; “Te li portiamo noi” in collaborazione con Plus ONLUS, con la consegna a domicilio di farmaci antiretrovirali per persone con HIV. E ogni giorno se ne aggiungono altri.

Don’t Panic senza dubbio ha fatto emergere con grande forza la fittissima rete di realtà associative, comitati ed enti del terzo settore presenti e operativi sul territorio bolognese, confermando una volta di più la sentita partecipazione pubblica che anima la città quotidianamente, la arricchisce di esperienze e costituisce la base imprescindibile di una società fattualmente democratica. Ed è questo che, anche con il superamento dell’emergenza, permarrà del lavoro di Don’t Panic: “Noi oggi stiamo costruendo un piano di rapporto con quella parte di città che è stata più di tutte abbandonata, già precedentemente ma nella crisi ancora di più. Questo ci deve dare oggi anche la forza e la possibilità non tanto di portare la voce di queste persone, ma di farle esprimere in prima persona. Perché significa che il messaggio arriva molto più chiaro e più forte, tanto al resto della cittadinanza quanto alla politica”.