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Il Covid-19 ha fermato il mondo intero, inarrestabile, con bollettini medici che potevano essere equiparati a quelli dei tempi di guerra. La pandemia ha avuto un forte impatto sulle persone, ne ha modificato la vita in una maniera così potente da lasciare segni tuttora visibili. Segni che alcuni dovranno affrontare ancora per molto.
Vi sono persone però che, ancora prima della pandemia, avevano una situazione famigliare complicata e la cui vita è stata ulteriormente compromessa.
Alessandro Iarrera Saya racconta, partendo dalla propria esperienza di genitore di un ragazzo autistico nonché membro dell’associazione ANGSA – Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici, le conseguenze al periodo di isolamento forzato.

Come ha vissuto il periodo di isolamento la sua famiglia?
Ho la fortuna di poter lavorare da casa e di conseguenza mi occupo dei bambini. Cerco di far fare loro delle attività adatte alla loro età e alle loro capacità. Inevitabilmente, però, capita che si annoino.
Mio figlio è un ragazzo autistico di quattordici anni. A casa, chiaramente, è stato molto sereno. La maggior parte del tempo l’ha passato con me e con la sorella perché sua mamma, essendo un’infermiera, non può mancare al lavoro. Ha un livello comportamento problema molto basso e un’accettazione della situazione molto elevata; rispetto ad altri bambini autistici, ha, inoltre, acquisito delle abilità grazie alla terapia comportamentale. Per comportamento problema si intendono tutti quei comportamenti che mettono in pericolo il soggetto o chi lo circonda, ne ostacolano l’apprendimento o l’accesso all’esperienza. Non abbiamo avuto, insomma, grossi problemi in questo periodo. Quello che ci preoccupa di più è sicuramente il futuro, in quanto a breve dovrò tornare a lavorare in sede.
I ragazzi affetti da autismo non possono essere affidati ai famigliari se non per un lasso di tempo breve, necessitano di personale esperto in grado di gestirli al fine di non provocare stati d’ansia che possono rivelarsi deleteri. Ad acutizzare le preoccupazioni sono anche i pensieri riguardanti le conseguenze che nostro figlio potrebbe subire a livello di comportamento dopo questo periodo in cui è stato, per così dire, inattivo, ovvero in cui non ha potuto attingere alla propria terapia comportamentale.

Quali potrebbero essere le conseguenze all’isolamento?
Mi viene in mente un episodio che abbiamo vissuto con nostro figlio quando doveva iniziare le elementari. Per tutto l’anno precedente aveva fatto dei trattamenti molto limitati. Quando, invece, ha cominciato la prima elementare ha iniziato delle sedute comportamentali molto più intense. Quel passaggio ha provocato in lui una serie di comportamenti problema fino ad arrivare quasi a non potere frequentare la scuola per due mesi.
Questi ragazzi sono routinari e hanno bisogno di una terapia comportamentale costante proprio per abbassare lo stato d’ansia e limitare questi comportamenti dannosi. Nel rientro alla normalità non escludo che vengano fuori queste problematiche nel mio ragazzo come anche negli altri. Finora hanno vissuto in uno stato di comfort e di inattività. Nel momento in cui dovranno riprendere le terapie si ritroveranno a dovere socializzare nuovamente. Sicuramente dovranno faticare molto e questo di solito crea gli stati d’ansia che poi portano, inevitabilmente, all’insorgere dei comportamenti problema.

Da genitore come ha vissuto e vive tuttora questa situazione?
La preoccupazione principale è quella della gestione da casa. Personalmente ho avuto la possibilità di lavorare da casa e quindi di occuparmi dei miei figli, anche se con non poche difficoltà. Non per tutti è stato lo stesso. Alcuni hanno dovuto abbandonare del tutto le proprie attività lavorative e quindi perdere, di conseguenza, anche le fonti di sostentamento. Psicologicamente è stato molto pesante per le famiglie e il futuro prossimo sembra ancor meno roseo. Sono stati davvero pochi i ragazzi che hanno potuto seguire la didattica a distanza e questo dipende molto anche dal fatto che il rapporto che c’è con i genitori è ben diverso da quello che c’è con l’educatore. Molti ragazzi si innervosiscono e si indispongono quando vengono messi davanti al computer, altri non capiscono lo strumento e poi ci sono anche quelli che sono incuriositi ma lo vorrebbero per giocarci. Nel caso dei nostri ragazzi, insomma, è irrisorio credere di riuscire a fargli seguire la terapia o la didattica in via telematica. I genitori non hanno più lo stacco che normalmente avrebbero quando i ragazzi vanno a scuola o a fare altre attività, sono costretti a lavorare 24 ore su 24. Devono assumere il ruolo di educatori, insegnanti oltre a quello di genitori e al tempo stesso cercare di mantenere economicamente la famiglia.

Cosa ha di specifico l’autismo rispetto ad altre disabilità? Perché è così importante mantenere il contatto e la routine per un bambino autistico?
L’autismo è una neurodiversità permanente che compromette diverse funzioni cerebrali e ha come caratteristica fondamentale una forte compromissione della relazione che porta alle stereotipie, ripetizione di una sequenza invariata e costante di uno o più comportamenti a livello motorio e/o comunicativo, o ai cosiddetti comportamenti problema. Bisogna, inoltre, fare attenzione a singoli soggetti che possono presentare differenti aspetti di gravità oltre, chiaramente, l’appartenenza a una fascia d’età piuttosto che a un’altra.
La terapia comportamentale, adattata al singolo soggetto, indicata nelle linee guida dell’Istituto Superiore della Sanità, serve ai ragazzi per costruire la capacità di relazionarsi, di potere esprimere i loro bisogni e i loro desideri e quindi di modulare e abbassare i comportamenti problema. Deve essere erogata in maniera costante, per un numero di ore importante durante la settimana. Se non viene rispettata o se il numero delle ore cala i bambini non solo smettono di fare progressi ma regrediscono anche nelle abilità e nei comportamenti. Privare un soggetto autistico della terapia comportamentale equivale a privarlo dell’unico strumento che ha per sviluppare la propria vita e quindi di una qualunque prospettiva per il futuro.

Le Istituzioni come hanno risposto alle vostre preoccupazioni, alle esigenze dei vostri ragazzi?
Molte famiglie non hanno avuto nessun contatto con le Istituzioni, durante la quarantena. Quei pochi che sono stati contattati dalla Neuropsichiatria Infantile non hanno ricevuto nessuno aiuto. E’ stato, solo, chiesto loro un aggiornamento sulle condizioni di salute dei propri figli. Di punto in bianco si sono sentite abbandonate a se stesse. Molti genitori che fanno parte dell’ANGSA hanno espresso il proprio rammarico nei confronti delle istituzioni per essere stati dimenticati nel momento in cui avevano più bisogno.
Come associazione stiamo combattendo per ottenere un educatore a domicilio o in un contesto protetto. Dopo due mesi di un quasi totale abbandono da parte delle istituzioni chiediamo di riavere lo strumento essenziale per i nostri ragazzi. Chiediamo che l’educativo diventi un servizio essenziale come un qualunque altro strumento lo sia in caso di altre disabilità. Che non possa mai essere fermato.
Il problema fondamentale per noi è l’assenza di dialogo tra le Istituzioni. Spesso ci sono delle idee bellissime rivolte ai nostri ragazzi ma che non si concretizzano poiché le tempistiche burocratiche non corrispondono alle esigenze effettive. Esistono, poi, numerose linee guida, fornite dalla Conferenza Unificata Stato – Regioni, che propongono dei progetti di vita per i nostri ragazzi basati su una composizione di tipo multidisciplinare in cui vengono coinvolti molti enti ma a causa della difficoltà nel fare un progetto unitario non trovano applicazione.

Quali previsioni per questa estate 2020? Cosa proporrebbe alle istituzioni per migliorare la situazione e per agevolare i genitori di bambini autistici?
Sappiamo che il Comune e la Regione si stanno organizzando per delle attività estive ma ancora nulla di certo. Noi, come associazione, abbiamo fatto delle proposte. Durante il periodo scolastico, che ormai sta finendo, avevamo chiesto di sfruttare le classi come locali protetti per fare delle attività educative. In sostanza dedicare le aule vuote ai singoli operatori che si sarebbero dedicati alle attività didattiche con un bambino alla volta. Sarebbe stata un’ottima opportunità per lavorare in sicurezza. Per l’estate, però, è un’idea che non ha modo di essere applicata poiché ci sarebbe solo la possibilità di sfruttare i giardini che sono di proprietà del Comune ma senza la disponibilità dei servizi igienici poiché sono della scuola che fa invece riferimento allo Stato. Eventualmente potrà essere ripresa da settembre, qualora le scuole mantenessero lo stato di inutilizzo.
Ad ogni modo a Bologna stanno, ora, ripartendo i servizi educativi ma c’è ancora poca chiarezza su come e quando.
Ciò che ci auguriamo è di non essere messi nell’oblio da parte della società e delle istituzioni e che soprattutto si trovi presto il modo di concretizzare le iniziative a favore dei nostri ragazzi e in generale delle famiglie con bambini autistici a livello nazionale.