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di Marco Valenti / Da nove mesi ho cambiato cella, ora sono con Tarek. Da allora è cambiata la mia vita.
Venivo da esperienze disastrose, per la prima volta in carcere; ero impaurito, teso, perso in un mondo a me sconosciuto. Qua tutti parlano di regole del carcerato, ho cercato di capirle, ma quali sono? Ci si può contare? Stabiliscono veramente un equilibrio tra diritti e doveri all’interno del sistema detentivo? Stabiliscono un modo di vivere adeguato? No, non proprio.

Così entrai in cella con Tarek, nella cella davanti a quella dove mi ero trovato tanto a disagio. Subito Tarek incrociò l’altro e gli disse che non voleva vederlo nella nostra cella, punto. Così rimasi dentro e lui fuori; per qualche giorno prima che lo trasferissero.
Da quel giorno è iniziata la mia vera avventura in carcere, dove ho imparato molto di questa vita, e tutto grazie alla pazienza dl Tarek.
Mi sono iscritto all’università, a giornalismo, al corso di lettura, insegno italiano e leggo molto. Tutto bene, il tempo passa. Ho ritrovato un equilibrio quasi accettabile.

Ma Tarek? A volte penso alla sua situazione, e non riesco a dare una logica alla sua vita, a come sta procedendo, a come subisce da anni un’ingiustizia sociale spaventosa senza battere ciglio, sempre sull’attenti nel suo spazio.
Ha commesso un crimine, grave, indiscutibile. Trenta anni di carcere, questa è stata la pena inflittagli.
E poi? Parliamo di comportamento e di riabilitazione. Quindi parliamo di lavoro, di specializzazioni, di assistenza psicologica. Probabilmente i più aventi bisogno di assistenza sono i detenuti che hanno pene molto lunghe. Come Tarek, appunto.
Dopo la condanna ha perso la moglie, normale.
Ha perso il lavoro, normale.
Ha perso la casa, normale.
Cioè ha perso tutto ciò che si chiede alla vita, un amore, un lavoro ed una casa.

Sono otto anni che è qua, in branda, più i giorni di liberazione anticipata fanno dieci anni.
In sezione è una persona seria, mai una discussione, se qualche carcerato litiga si sposta prima, evita persone e scontri anche quando lo vogliono tirare nel mezzo, ma sa farsi rispettare. È diventato molto bravo nella cucina, prepara di tutto, ma non come una fissazione, bensì come vera una persona di cucina, in modo normale ma sempre con buoni risultati, quando non ne ha voglia. Prepara cose semplici. Io non ho mai messo mano su una pentola.

Pulisce la cella in modo ordinato, mi dice che potrei essere suo padre e non vuole che faccia niente, anche perché se provo a fare qualcosa ci deve rimettere le mani, non c’è niente da fare. Quando facciamo la spesa controlla tutto quello che arriva in modo minuzioso, e protesta se manca qualcosa in modo educato, ma lo dice immediatamente. Gioca a burraco, il pomeriggio quando ne ha voglia, e la sera parliamo un po’.
Ha solo quarant’anni, e a volte il suo spirito giovane emerge, gioca, fa scherzi, ma ha la saggezza di un vecchio, equilibrata, pensata, che lo porta a dare confidenza, ma non troppa. E poi guardiamo i programmi televisivi, e si lamenta sempre davanti alla violenza del nostro mondo, non c’è più spazio in lui per la violenza.
Questo è tutto ciò che il carcere gli può offrire.

Ogni due mesi fa il parrucchiere, un’ora la mattina e una il pomeriggio, tre volte la settimana. Guadagna 180 euro al mese, due mesi ogni quattro. Quando lavora è sempre davanti alla barberia, pronto ad iniziare il suo impegno.
Così passano i mesi, gli anni, nel nulla. E la rieducazione? Quella se l’è fatta da solo, e mi sembra molto bene. Qualche mese fa una quindicina di detenuti sono stati impiegati in due nuove attività lavorative, alcuni al call center, altri in fabbrica. Pensavo che anche Tarek avrebbe potuto avere la sua chance di tornare a vivere. Invece niente. Le sue giornate continuano come sempre, nel nulla. Persone appena entrate in carcere sono già al lavoro, Tarek, qua da otto anni niente, solo branda.
Forse è il suo comportamento? No, ve lo assicuro. Il suo comportamento è impeccabile. E allora che cosa è? Impossibile dare una spiegazione. Ma il dubbio viene. Di sicuro sono i più calmi che non lavorano, anche e soprattutto con pene lunghe. Ma allora come funziona questo sistema, chi ha pene lunghe viene accantonato per essere ripreso dopo vent’anni? Mah! Forse in carcere per ottenere qualche diritto si deve dare fastidio al sistema? Si deve fare confusione?

Ma lui non è più così. Sembrerebbe che si debba partecipare alle riabilitazioni, ai corsi, ma chi parla poco e male la nostra lingua, cosa deve fare? Me lo chiedo spesso. Così è diventato un uomo invisibile in un carcere sovraffollato. Chi non lo sarebbe divenuto dopo anni di tempo inutile? Forse basterebbe tendergli una mano, guidarlo, ma la desolazione è più forte, vince.
Attende nel nulla; forse le persone sognano quando torneranno in libertà, e attendono che il tempo passi, che la propria vita voli via un giorno dopo l’altro, fino a quando potranno rivedere i propri familiari, e riprendere quel poco che sarà rimasto.
Spesso dice ho sbagliato e pago, giusto così. Ma fino a che punto questa grande sofferenza deve continuare. Il lavoro insegna ad avere orari, rispettarli, organizzare la propria vita, ma anche a guadagnare qualcosa per non essere a carico di nessuno e riacquistare piano piano la propria dignità, la propria essenza di essere umano.
Questa è la storia di Tarek (un detenuto), breve, quasi nulla, come la vita in carcere che lo rappresenta in pieno.