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di PLF / La settimana scorsa si è svolta, presso il carcere della Dozza, la Settimana della Giustizia Riparativa, una serie di seminari che dal 24 al 28 marzo hanno rotto la monotonia carceraria oltre a portare dietro le sbarre quei concetti e quei discorsi che negli ultimi anni attraversano il dibattito giuridico, penitenziario e penale.

Quest’anno, il focus era incentrato sulle violenze di genere e i femminicidi. Nondimeno, molte sono state le tipologie di interventi e le tematiche affrontate. Sul palco si sono alternate, dopo l’apertura della direttrice Rosalba Casella e dell’assessora regionale Isabella Conti, in ordine sparso, le testimonianze forti, coraggiose e commoventi di Giovanna Ferrari (madre di Giulia Galiotto, vittima di femminicidio) e Lucia Annibali, vittima di un’aggressione con l’acido oltre 10 anni fa e che ha presentato il suo ultimo libro “Il futuro mi aspetta”, coadiuvata dalla co-autrice Daniela Palumbo e dal sociologo del centro “Liberiamoci Dalla Violenza” di Milano Gerardo Lupi.
Interventi tecnici abbastanza mirati, come quelli dell’ex PM Gherardo Colombo e della professoressa Valentina Bonini dell’Università di Pisa, che ha toccato anche gli argomenti della vergogna e del senso di colpa, e della dottoressa Morena Plazzi, PM presso la Procura di Bologna, con una spiegazione abbastanza esaustiva a livello giuridico della Riforma Cartabia, della Legge n. 60/2023 e i suoi correttivi annessi. E poi il Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, con altri importanti spunti di riflessione quali la consapevolezza dei gesti, l’ascolto dell’altro e la gestione della rabbia. Non ultimi né meno importanti, il cineforum con l’intervento sulla Mediazione Penale condotto dal C.I.M.F.M. (Centro Italiano di Mediazione e Formazione alla Mediazione) di Bologna e il laboratorio di Mediazione Penale condotto dalla cooperativa “L’Ovile” di Reggio Emilia, laboratorio condiviso con le studenti e gli studenti di un liceo sportivo locale: esperienza molto interessante poiché, oltre a cercare un metodo differente di ascoltare l’altra persona che abbiamo davanti, ha permesso di partecipare in maniera attiva a tutte le uditrici e tutti gli uditori, con un confronto stimolante e davvero accrescente. Peccato per l’incontro saltato per motivi di salute della Prof.ssa Isabella Merzagora, criminologa presso l’Università di Milano.

Una settimana intensa che sicuramente ha lasciato un solco dentro ai partecipanti. Oltre agli argomenti sopracitati, sovrana è stata sicuramente la messa al centro della vittima che prova così a recuperare la sua centralità all’interno del rapporto con il carnefice, o chi commette il reato. O chi è accusato di aver commesso il reato. Perché quando si va a processo, non si può ipotizzare di partire già condannati. Infatti, la riparazione, come normata ad oggi, propone la possibilità di accesso al programma in qualsiasi fase del procedimento, dall’udienza preliminare fino all’esecuzione penale, presentando così svariati approcci critici prevalentemente per quanto riguarda la posizione dell’indagato-imputato, in particolar modo riguardo alla presunzione di non colpevolezza, al diritto di difesa e alla funzione cognitiva del processo penale (è vasta la letteratura giuridica a riguardo).

Comunque la “cultura riparativa” è in netta crescita, anche se in antitesi (se non completa, quasi) con le prime tesi abolizioniste che la svilupparono. Molti sociologi internazionali e non, quali Christie, Hulsman, Mathiesen, piuttosto che gli stessi Pavarini, Baccaro, Mosconi e Ruggiero (per rimanere alle nostre latitudini), hanno più e più volte affrontato il tema, cercando di esporre le argomentazioni a favore di una ricentralizzazione della vittima, facendola diventare protagonista delle situazioni concernenti il reato e il processo a esso annesso, dimostrando l’importanza di evitare la dualità che si crea tra l’indagato-imputato e il sistema che lo accusa. Un sistema creato e sviluppatosi attorno a figure professionistiche quali gli avvocati, piuttosto che i pubblici ministeri, i magistrati, e poi i periti tecnici, informatici, psichiatrici, etc. Un universo di professioni legali dove il conflitto reale, e la potenziale risoluzione di esso viene totalmente “rubato” alla vittima e a chi ha commesso il reato. Da qui tutta la critica al sistema penale per come impostato fino ad arrivare alle varie teorie abolizioniste (che non saranno qui ad analizzate).

Quindi: il punto di partenza è azzeccato, ovvero riportare al centro il conflitto, la vittima che ha subito il reato ed una potenziale risoluzione tra i soggetti direttamente interessati, ma il punto di approdo forse ha delle pecche, perfezionabili, ma pur sempre delle pecche. In primis, di sicuro la volontà del legislatore non era quella né di portare una critica né un superamento al sistema penale vigente, che rimane sempre centrale. Il processo c’è e rimane, e al suo centro rimane sempre la pena come quantificazione della “punizione” da espiare in seguito alla rottura del patto sociale che si crea col reato. Come, d’altronde, è centrale la reclusione, a scapito delle misure alternative che, anziché essere primarie per la rieducazione, vengono viste solo come premiali. Inoltre, la Giustizia Riparativa opera in modo collaterale alla giustizia penale, ed anzi non la incrocia mai, rimane parallela. Gli unici punti di incontro sono nei momenti in cui il giudice dispone, o d’ufficio oppure sentite le parti che concordano entrambe nel procedere, l’attivazione del programma, e durante l’esecuzione penale, ovvero quando il processo ha fatto il suo corso e la condanna definitiva è già stata emessa.

Anche il settorialismo/professionalismo non viene superato con la nuova normativa: ci sono dei servizi istituiti appositamente che tramite i centri creati ad hoc per la Giustizia Riparativa opereranno per l’esito, grazie anche a delle figure professionali adeguatamente formate, ovvero i mediatori penali. Su quest’ultima figura però, ovvero quella del Mediatore Penale, spezzo una lancia a favore, poiché sicuramente il fatto di avere un terzo imparziale che si occupa della comunicazione tra le persone che diventano finalmente fulcro vitale della questione, e che aiuta la comunicazione che si è interrotta con il reato e prova a riprenderla, può risultare molto importante. In pratica la Riforma Cartabia è una sorta di “copia e incolla”, che ricalca la Direttiva Europea 2012/29/UE84 del 25 Ottobre 2012, emanata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio, e che si basa sulla già esistente mediazione minorile, con nostalgia di quella che all’epoca fu rinominata “La giustizia dell’incontro”, che ha coinvolto principalmente gli autori di reati durante il periodo degli anni di piombo in Italia e la riconciliazione con le loro vittime o i parenti più stretti e prossimi delle stesse.

Nella pratica però la normativa del 2022, non ha avuto attuazione fino ad oggi poiché i fondi sono bloccati. Anzi, con il cambio di casacca del governo, è stata tolta la possibilità di accesso alla giustizia riparativa per i detenuti in 41-bis. Tipico stile italiano, due passi in avanti ed uno indietro e si rimane impantanati nelle sabbie mobili burocratiche.

E per noi detenuti che stiamo scontando una pena definitiva, cosa prevede questa normativa? Di sicuro se il percorso c’è, è sincero e voluto dalle parti, e soprattutto se si trova una quadra che soddisfi le esigenze richieste, l’esito può portare a benefici eventuali, sempre su valutazione discrezionale del Magistrato di Sorveglianza. Insomma, se si riesce a scavare in fondo alle proprie emozioni e nell’abisso dei nostri pensieri si arriva al perché del reato; se si riesce ad avere la capacità di capire cosa questo ha comportato per l’altra persona coinvolta, o per le persone immediatamente più vicine, se c’è questo passaggio vero e non solo utilitarista, se si arriva ad un cambiamento interiore per evitare la reiterazione futura di comportamenti e gesti violenti, arriva anche il perdono dell’altro e della società. Percorso difficile, interiore, e che ti segnerà per sempre. Peccato che al momento sia tutto bloccato: legge inapplicata, ennesimo “in the books but not in the facts”.

Per chiudere, una provocazione: perché la riparazione non si applica per alcune infrazioni disciplinari dell’Ordinamento Penitenziario e non può essere considerata per i consigli di disciplina? Perché queste mini-udienze vengono gestite unicamente in un’ottica inquisitoriale, cercando solo eventualmente le discolpe, e non con la logica della riparazione? I rapporti, che sono report di infrazioni commesse dai detenuti violando le norme dell’Ordinamento, sono spesso frutto di momenti in cui “ti si chiude la vena” o momenti di “scontro” verbale con gli operatori, piuttosto che atti di danneggiamento per mancata gestione della rabbia. Perché non allargare la visione, comprendendo il contesto nel quale si è commessa l’infrazione? Perché non si esce dalla dicotomia “colpevole-innocente” e buttare all’aria sei mesi di comportamenti corretti, perdendo 45 giorni di vita per 5 minuti di annebbiamento? Se si rompe uno sgabello od un tavolo, sarebbe meglio far ripagare il danno con 2 settimane di lavoro in falegnameria, ad esempio, per corrispondere il prezzo da risarcire. Ci si renderebbe conto di quanto lavoro c’è dietro al montaggio di uno sgabello e magari la prossima volta ci si pensa due volte a romperlo. O ancora: se si commette un oltraggio verso un operatore penitenziario (educatore, agente, psicologa, infermiera etc.), l’autore seguirà per una settimana tutto il giorno il lavoro dell’operatore, così da rendersi conto effettivamente se aveva senso o meno trattare in quel modo l’operatore che, volente o nolente, subisce anch’esso lo stress della carcerazione. Certo, in modo differente, perché è libero a fine turno, ma comunque passa il tempo qui dentro con noi. Sono provocazioni ovviamente, però riporterebbero al centro le “vittime” dell’infrazione, sensibilizzerebbero l’autore, uscendo dalla logica dicotomica “colpevole/innocente” e “sanzione/non sanzione”. Sicuramente più riabilitante e rieducativo di una punizione che andrebbe a costare 45 giorni di libertà: un po’ troppo per uno sbandamento momentaneo in 6 mesi forse, non vi pare?