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di Fabrizio Pomes / L’orologio segna le otto e trenta ma l’agente della penitenziaria addetto all’apertura dei blindi è in leggero ritardo. Allora non passa un minuto che si sente battere il blindo con potenza ed insistenza, come se qualcuno avesse un appuntamento in perfetto orario al quale non può mancare. Subito dopo è possibile vedere una cella di pochi metri quadri invasa da tanti, troppi, metri cubi di acqua insaponata e il detenuto armato di tira acqua e paletta smanioso di raccoglierla. Un po’ più avanti ce n’è un altro che pulisce quotidianamente le pareti della cella e i blindi con il lysoform.
Anche la cucina è in ritardo con la colazione, e allora detenuti smaniosi di far colazione, armati di bicchieri e bottiglie, attendono l’ingresso trionfante del carrello in sezione.

Altri hanno dormito vestiti con abiti da lavoro per essere già pronti al mattino per correre a lavorare come se non ci fosse un domani. Alcuni alzano i materassi sui letti per farli arieggiare o almeno così dicono ma in realtà lo fanno per scoraggiare altri a sedersi sul proprio letto.
Non sono tanti i detenuti che scelgono invece di stare chiusi in cella, buttati sul letto a consumare un tempo che sembra infinito in attesa della visita dell’avvocato o della chiamata dell’infermeria. In genere sono fruitori della terapia, e consumano cronicamente ansiolitici per riuscire a dormire anche durante il giorno in quella grotta chiusa dal blindato.

È poi frequente vedere già ciondolare i primi coraggiosi camminatori, che percorrono le vasche del corridoio con ritmi cadenzati, prima soli e poi in due e anche in tre. Si sviluppano allora scontati discorsi su continuati, articoli ventuno e affidamenti. Il tutto intervallato da fantasiose descrizioni del proprio vissuto in libertà.
Guai ad incrociare quello che, incurante di avertelo già detto decine di volte, ti relaziona sul proprio stato di salute, critica l’assistenza sanitaria e ti illumina sulla pressione arteriosa.
Un gruppo invece decide di impossessarsi della doccia per diverse volte al giorno e per troppo tempo, alla ricerca di un improbabile sbiancamento e incurante dell’eccedenza d’acqua che si consuma. Altri invece per compensare hanno deciso di mettere il divieto d’incontro con la doccia.

Se fuori piove a dirotto non manca comunque quello che imperterrito deve fare i suoi giri di campo. Mentre se il tempo è più clemente ci sono quelli che si affliggono con flessioni e sollevamenti da fare invidia ad un ginnasta come Yuri Chechi.

Poi può arrivare la spesa, che se viene consegnata con un articolo mancante può far sbarellare la mente a chi da anni segue pedissequamente lo stesso menù per ogni giorno della settimana.
Le telefonate ai familiari invece durano dieci minuti, ma c’è chi trova tempo e modo per chiamare tre o quattro volte perché pone domande ed esige risposte. E c’è quello che, consapevole che i suoi genitori soffrono di diabete, non andrebbe mai al colloquio senza portare dolci e cioccolate.
Per non parlare della tv. All’orario prefissato sono in tanti a godersi la telenovela pomeridiana, per passare a “Uomini e Donne”, “Amici”, e il cuore della D’Urso. Per finire, in serata, soprattutto gli ergastolani, si sorbettano “Un posto al sole”. Ma anche “Striscia la notizia” nei suoi trentacinque anni ha accompagnato il preserata di tantissimi detenuti.

Insomma direbbe Totò che in “Questo manicomio succedono cose da pazzi” e nonostante l’impegno e la professionalità dei medici non è possibile diagnosticare la malattia né studiarne una cura.
Sì, perché questo male si chiama “Carcerite” ed è patrimonio comune solo e soltanto dei detenuti.
È lo stato di convalescenza del detenuto ossia quel tipico atteggiamento di impotenza, di auto giustificazione della propria inattività, di dispensa dal fare. Con quella momentanea e obbligatoria sospensione dell’agire e una nuova forma mentis che il carcere imprime con gradualità. Perché in carcere il detenuto è obbligato a una quotidianità e una compagnia livellata, scandita da tempi precisi e da rapporti piuttosto limitati. Il detenuto in carcere non è messo in condizione di volere, di poter scegliere e neanche di decidere.