di Athos Vitali / Sono detenuto nel carcere della Dozza di Bologna, da otto anni chiuso tra quattro mura di cemento armato, tanto chiuso che quando esco all’aria aperta non la sento nemmeno. Sono nato in un piccolo paese vicino a Bologna e la mia vita è sempre stata all’aria libera, nel podere con gli animali e con il profumo del fieno appena tagliato, o del letame, o della terra appena lavorata. Tutto questo mi manca tantissimo.
Anche il mio paese ha vissuto il cambiamento di tutte le realtà agricole. Negli anni ’60 tutti correvano in città per trovare lavoro, chi nella meccanica, chi nel settore edile e le donne in fabbriche come la Perla e la BM; in paese rimanevano solo le nonne che ci rincorrevano con le scope quando facevamo i somari…
Ecco perché appena ci chiudono, alla sera, mi tornano in mente le cose belle e brutte, come accade a tutti quelli che hanno vissuto una vita ormai lunga. E fra queste il mio paesino è sempre presente, sono presenti tutti quelli che conoscevo, perché allora ci si conosceva tutti, mentre adesso questo senso di comunità non c’è più.
La memoria del mio paese è sempre lì, e non evade mai.