di Fabrizio Pomes / Un lavoro condiviso che ha portato alla stesura di un documento che pone l’accento sul dramma dei suicidi in carcere e che si propone come traccia di un percorso che deve vedere la politica impegnata oltre le visite alle carceri e al lavoro istituzionale. Questo l’obiettivo dell’assessorato al welfare del Comune di Bologna che con il personale coinvolgimento dell’assessore Nizzo Nervo e delle consigliere comunali Di Pietro e Monticelli ha lanciato una sfida ai cittadini per una mobilitazione che punti a far diventare Bologna la città promotrice di una rete di città nelle quali ci sono gli istituti penitenziari. Strutturare quindi la protesta verso un governo i cui segnali di carcero centrismo e di panpenalismo sono evidenti.
Il documento ha raccolto le adesioni dell’Ordine degli Avvocati di Bologna, delle camere penali, della CGIL e di una trentina di associazioni che operano nel volontariato penitenziario.
L’incontro con la città si è tenuto sabato mattina in piazza Lucio Dalla al Navile dove da un palchetto si sono alternati in una maratona oratoria molti dei sottoscrittori del documento.
Il freddo rigido ha condizionato fortemente l’evento ma ciò nonostante oltre un centinaio di coraggiosi ha sfidato il clima glaciale e si è lasciato riscaldare il cuore dagli interventi che si sono succeduti.
Dopo i saluti istituzionali dei rappresentanti del Comune ha preso la parola l’attore Alessandro Bergonzoni che ha lanciato il movimento dei “rivoltosi ’fuori”. “Chiedo alle persone di prendere i loro cappotti e di rivoltarli, in maniera che le altre persone quando ti vedono in giro per strada ti chiedano: perché il tuo cappotto è rivoltato? Perché mi rivolto a quello che c’è di rivoltante dentro un carcere”. Inoltre l’artista bolognese ha chiesto agli stessi ragazzi universitari, che scendono in piazza per protestare contro la violenza sulle donne, di interessarsi e manifestare anche per le condizioni drammatiche di chi vive in carcere.
A seguire gli interventi del cappellano del carcere padre Marcello Matté in rappresentanza anche del cardinale Zuppi, del presidente dell’ordine degli Avvocati di Bologna Flavio Peccenini, del presidente della camera penale prof. Nicola Mazzacuva, dell’avvocato Ettore Grenci, del prof. emerito di diritto penale dell’Università di Bologna Stortoni e a seguire quelli dei rappresentanti delle associazioni di volontariato presenti, del mondo degli agenti di polizia penitenziaria, rappresentato dal coordinatore nazionale della CGIL Donato Noè, e del garante comunale dei diritti dei detenuti Antonio Ianniello.
Nello stupore generale non è stata data la parola al Poggeschi per il Carcere che tutti conoscono come eccellenza del volontariato all’interno della Dozza per le attività laboratoriali nelle diverse sezioni, per l’Estate Dozza e per la redazione ultra decennale di Ne vale la pena. Sono personalmente convinto che si sia trattato di una involontaria dimenticanza che non può e non deve in alcun modo scoraggiare i tanti giovani che con impegno e abnegazione sono impegnati nell’associazionismo.
Tutti gli interventi particolarmente apprezzati ed applauditi hanno evidenziato l’esigenza di misure clemenziali come l’amnistia e l’indulto oltre alla liberazione anticipata speciale come obiettivo primario di una politica che miri a svuotare le carceri. Il carcere deve rappresentare l’extrema ratio e occorre invece sostenere comunità di recupero per i tossicodipendenti e comunità, come quella più volte richiamata di Casa Corticella, che possano offrire ai detenuti la possibilità di una seconda chance. Hanno evidenziato che oggi occorre creare le condizioni perché il carcere diventi un luogo dove si coltiva il futuro e non un limbo dove si soffoca la vita.
In più interventi è stato richiamato anche papa Francesco che ci invita a «tenere aperta la finestra della speranza». Ma la realtà che vediamo è diversa: sovraffollamento, carceri come luoghi di esclusione sociale, mancanza di progetti di reinserimento. Non è possibile parlare di un carcere nella Costituzione perché semplicemente non esiste. Non esiste un carcere che incarni pienamente i principi costituzionali. Il carcere della Costituzione, come dice Giovanni Maria Flick, è come un’isola che non c’è: un luogo ideale, un obiettivo ancora lontano, ma essenziale per affrontare seriamente il problema.
E il segnale della partecipazione della piazza di Bologna è un buon viatico perché si lavori pancia a terra e senza steccati ideologici e pregiudiziali per l’obiettivo.
Mi sia consentito però di chiudere questo articolo con una personale nota di rammarico per la scarsissima partecipazione del convitato di pietra, degli ex detenuti e dei loro familiari alla manifestazione. Un segnale preoccupante se si pensa che è vero che ci sono gli “assenti giustificati” come gli oltre 800 detenuti della Dozza ma è altrettanto vero che c’è l’assenza di chi avrebbe il compito di diventare il megafono della loro rabbia e disperazione, il testimone dell’inutilità del carcere così come strutturato e che invece, recuperata la libertà, dimentica troppo in fretta e si butta alle spalle l’esperienza detentiva lasciando ai nuovi giunti il testimone di una dignità calpestata.