di Piombo / È un sabato qualunque, un sabato italiano… sono qui a scrivere mentre due detenuti parlano tra loro, sono tanti i pensieri che affollano la mia mente.
Finalmente si avvicina la data dell’appello e non so se sperare in bene, o lasciar scorrere il tutto come se niente fosse, perché se andasse male, sarebbe una batosta enorme; se ci penso troppo si innesca un turbinio di emozioni che faticherei a gestire.
Mi tengo occupato, ma non mi basta più, la mente elabora in continuazione, mi accorgo che quando devo affrontare un problema, anche banale, mentre cerco di risolverlo, perdo sempre più spesso la calma e la lucidità necessarie per affrontare le situazioni con il dovuto distacco.
Non voglio nutrire speranze, o almeno non alimentarle, perché ovviamente spero di uscire, ma non voglio neanche abbandonarmi alla negatività, perché è un modo di essere che non mi appartiene, ma ogni volta che ci penso mi tornano in mente le parole di un compagno di cella col quale ho condiviso i primi giorni di detenzione: “Lascia che il tempo passi, senza aspettativa alcuna, se vi sarà qualcosa di buono, te lo comunicheranno”, e così se anche le notizie saranno negative, non mi farò imprigionare da quel turbinio di emozioni che mi assale giorno e notte, nell’ultimo mese.
Sto contando i giorni che mancano al processo d’appello, so già che non vi saranno novità, anzi sarà quasi sicuramente confermata la pena… ma non riesco ad arrendermi dal combattere tutti i giorni, per trovare una nuova soluzione che mi permetta di uscire…. non tanto per me, ma per rivedere la mia bimba, che è il mio cuore e che ho incluso nella mia famiglia, io che non ne ho.
Sto male, sì sto male, pur essendo sempre sorridente e gioioso, cercando di nascondere bene la tristezza per la situazione in cui mi trovo; le lacrime ora sgorgano copiose sul mio volto, per la seconda volta in 9 anni di detenzione, dopo che era successo la prima volta mi ero ripromesso di non farlo mai più.
Mentre scrivo, perché questo vuoto a volte lacera l’anima, vorrei strapparmi il cuore, per non soffrire così tanto dentro; ed allora via che si va, ci si asciuga il viso, si richiude tutto dentro e con un sorriso beffardo si torna a regalar sorrisi al mondo, perché far arrabbiar la gente è facile, ma regalar sorrisi è più difficile e non è da tutti, anche se a farlo, non si direbbe, è chi spesso si sente solo pur stando in mezzo alla gente.