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di Maurizio Bianchi

Ogni giorno sembra uguale a quello precedente, le ore trascorrono in totale solitudine interiore, nello stato d’animo che ti ricorda incessantemente che sei privato della tua libertà, come un macigno che purtroppo sai bene di esserti tirato sui piedi da solo.

La giustizia lenta ma inesorabile arriva a colpire anche dopo anni ed anni dal reato, quando pensavi che la vicenda fosse superata, prescritta, come la legge prevede per numerosi reati la cui vicenda processuale non si è conclusa nei termini previsti.

In una delle rassegne stampa esaminate di recente in redazione, mi ha colpito un articolo del “Riformista” in cui è riportata una statistica relativa all’ingiusta detenzione, da cui emerge che dal 1992 ad oggi circa 26.000 persone sono state soggette a misure restrittive in carcere prima che il processo si concludesse con una sentenza definitiva di assoluzione.

Mi sono quindi chiesto se le norme che dovrebbero tutelare il diritto della libertà personale sono pienamente efficaci o se la realtà dei fatti contraddice il principio e lo spirito della legge.

Gli errori giudiziari producono inevitabilmente conseguenze negative sulla vita degli imputati e delle loro famiglie, danneggiando a volte in modo irreparabile la rete delle relazioni sociali e le storie professionali.

I processi, si sa, hanno durate infinite e non tutelano né i diritti degli imputati né, tantomeno, i diritti delle parti offese, che non trovano risposte rapide alle loro legittime richieste di giustizia. È vero che spesso la legge riconosce tutele risarcitorie sia alle vittime sia agli imputati per l’eventuale ingiusta detenzione, ma quale risarcimento può ripagare il danno subito a livello psicologico, affettivo e sociale?

A volte, purtroppo, davanti a crimini particolarmente odiosi o commessi da recidivi incalliti viene da dire “buttiamo via la chiave”, e questo è un luogo comune non solo per l’opinione pubblica, ma anche qui in carcere. Ebbene sì, anche fra noi facciamo distinzioni fra i reati, e non solo, perché il giudizio è anche legato all’etnia, in un contesto in cui essere italiano è un po’ essere straniero, vista la rilevante presenza di persone di varia provenienza nelle carceri italiane ed in particolar modo nel carcere di Bologna, sicuramente sopra la media nazionale.

Un ultimo pensiero sulla situazione carceraria trae spunto da un dato pubblicato da Corriere della Sera: la percentuale di revoca delle misure alternative alla detenzione è bassissima; nel 2017 su 55.000 misure concesse solo in 372 casi (0,6%) si è registrata la commissione di reati o il mancato rispetto delle prescrizioni. Parimenti, come noto, la recidiva, altissima (68%) quando il percorso rieducativo non ha visto un efficace accompagnamento alla libertà, si abbassa al 19% quando la pena è scontata fuori dalle mura del carcere. Purtroppo per ora si pensa solo a costruire nuove carceri, senza agire su altri fronti, basandosi sulle evidenze che risaltano dalle statistiche e con l’obiettivo di migliorare la convivenza sociale. Qualche piccolo passo forse si sta facendo, ma pare troppo piccolo per incidere significativamente su un sistema largamente fallimentare.