di Andrea Zanini / Eccomi qui sono sdraiato sulla mia branda minuscola, oppresso da una canicola ingestibile e con il caldo che porta un torpore che mi pervade tutto. Allora la mia mente comincia a spaziare nei ricordi sia affettivi, che morali e di vita vissuta. penso a una frase di Mark Twain: “Il pericolo non viene da quello che non conosciamo ma da quello che crediamo sia vero e invece non lo è”.
Quando sono entrato in carcere ormai quindici mesi orsono – prima e sicuramente ultima volta – avevo un’opinione del carcere totalmente diversa. Lo credevo un luogo repressivo in quanto privo di ogni libertà. In realtà mi sono ritrovato in una situazione molto diversa. L’unica vera mancanza è la negazione della libertà, il fatto di dover vivere tra quattro mura e di dover trascorrere tutti i giorni praticamente uguali. Inoltre, la burocrazia carceraria è obsoleta, lenta e assolutamente inefficiente.
Quello che qui aiuta chi, come me, è una persona estroversa e comunicativa, è la conoscenza con altri detenuti, tutti diversi e con una vita e problemi unici. Ho quindi imparato che il male non è relegato a questo posto o attribuibile solo a una persona o a categorie di persone.
Porterò con me questa esperienza quando uscirò, e sicuramente ciò mi farà osservare con occhi diversi il mondo, le persone, la società. Concludo questa mia elucubrazione con una frase di Confucio: “Non servono gli occhi per vedere la giusta via”.