di Alex Frongia
Dopo gli 89 suicidi dell’anno passato, il governo risponde con l’aumento delle unità di polizia penitenziaria: sicuramente si avrà una maggiore presenza del personale nelle sezioni detentive, ma senza provare a incidere efficacemente su tutte le problematiche strutturali che portano a un numero di suicidi sempre più alto ogni anno nelle galere italiane. Se ci fossero 89 suicidi all’anno in una cittadina di 60.000 persone, la risposta del governo sarebbe aumentare il numero delle forze dell’ordine oppure cercare di capire le motivazioni che portano le persone a compiere questo gesto estremo?
Lo stesso governo invece risponde con un taglio, questa volta al cuore della sempre più piccola speranza di noi detenuti di uscire indenni psicologicamente dalla detenzione, con tutte le problematiche ci coinvolgono pesantemente nella vita ristretta.
Il taglio colpisce quasi la totalità delle figure professionali previste dall’art. 80 dell’Ordinamento Penitenziario, ovvero psicologi, criminologi ed esperti nella cura della psiche della persona. Qui alla Dozza queste figure erano un fiore all’occhiello, molto presenti grazie ai colloqui con i detenuti, sempre a cadenza mensile. Anche in orari prolungati, non era strano vederli sui piani alle ore 19 (orario in cui, nella maggior parte delle altre carceri, “la galera è bella che finita”).
La loro figura era ed è molto importante per la prevenzione, per il messaggio che trasmettevano: ti facevano capire che a qualcuno interessa davvero la tua condizione di salute mentale, che non sei recluso solamente per scontare la tua pena. Inoltre, la loro figura cercava di mettere al centro del percorso intrapreso l’introspezione, il guardarti dentro davvero, cosa che può aiutare a capire il perché nella vita tu abbia commesso degli errori, e come potresti evitare di ricaderci di nuovo.
A mio avviso in Italia, in questo dato momento storico, si parla di tutto e anche di cose molto importanti, vedi le varie guerre in corso. Ma si parla dei vari argomenti solamente per poche settimane, poi pronti-partenza-via a cavalcare una nuova onda, forse più alta, forse più bella. Si sentono spesso notizie di un nuovo suicidio, dell’ennesimo suicidio nelle carceri. Ma nemmeno l’ennesimo suicidio ha fatto sì che un direttore qualsiasi aumentasse nel proprio istituto il numero di chiamate e di colloqui con i familiari o che mantenesse figure importanti come quelle degli esperti sopracitati. La triste realtà dei fatti è che, analizzando a fondo, probabilmente, a chi di dovere, di noi detenuti in realtà non importa niente.