di Athos Vitali/Vorrei far conoscere la vita del fantasma del carcere Rocco D’Amato di Bologna. Sono da otto anni in carcere, alla Dozza, ma per la Direzione sembra che io non esista. Per la morte di mia moglie – di cui sono accusato – non mi mandarono neppure al funerale.
Dopo quattro anni, ho perso mia figlia Irene. Chiesi il permesso per gravi motivi familiari (c.d. GMF), ma nessuno mi ha risposto. Il giorno del funerale mi chiamarono in ufficio dall’ispettore, erano in due oltre al mio educatore. Mi chiesero se volessi presenziare alla funzione, ma io dissi loro che ormai era tardi perché il funerale sarebbe cominciato in mezz’ora. Loro mi chiesero se ero sicuro che tutti i parenti mi avrebbero accettato: sono rimasto di sasso e risposi soltanto che ero il padre e non mi importava di quello che avrebbero pensato i presenti. Due anni dopo mi hanno risposto alla richiesta di permesso, incolpandomi di non aver riferito dove sarebbe stata tumulata la salma, e così si sono lavati le mani.
Ora, nel mese di agosto, mia madre è stata ricoverata in gravi condizioni. É venuto mio fratello a dirmelo e appena sono salito in cella ho chiesto il permesso GMF. La settimana successiva, mentre stavo ancora aspettando la risposta, mia madre è deceduta. A questo punto chiedo alla Direzione se mi conosca o non mi veda, perciò viva il fantasma.





