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di Maurizio Bianchi/È l’ennesimo Natale che passo in carcere, rinchiuso in una cella di 4 metri per tre, che divido con un coincellino che non mi sono scelto, come lui non ha scelto me, condividendo forzatamente il tempo della pena. 
Le feste per noi detenuti non sono un tempo bello, e mentre fuori le famiglie si riuniscono intorno a tavole imbandite di tante cose buone, noi viviamo la solita routine che proprio in questi giorni diventa ancora più pesante. Chi di noi ha la fortuna di lavorare può permettersi qualche sfizio, come un panettone o un cotechino, oppure facendo la spesa al sopravvitto, può cimentarsi nel cucinare cibi prelibati, simili a quelli che avrebbe potuto gustare in famiglia. Ma pochi hanno questo privilegio.

Nelle prime settimane di dicembre i professori ed i volontari che svolgono attività in area pedagogica hanno organizzato piccoli rinfreschi per fare festa assieme a noi, per salutare il 2019 e per dare il benvenuto al 2020, condividendo la speranza che sia un anno buono per tutti.

Dalla finestra della mia camera di pernottamento (come adesso si chiama la cella, che pur avendo cambiato nome non è diventata una stanza d’hotel, rimanendo sempre la ristretta cella di un carcere) alla mezzanotte del 31 dicembre ho osservato i fuochi di artificio, senza provare alcuna gioia, come forse molti hanno sentito per l’inizio del nuovo anno. I fuochi di artificio visti attraverso le sbarre di una cella non possono che aumentare la tristezza ed il senso di solitudine che ci accompagnano in questi giorni.