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di Pasquale Acconciaioco / Le carceri, piccoli paesini dispersi. Persone che perdono la bussola e si trovano a vivere in questo luogo. Dovrebbe essere un posto accogliente, pieno di propositi di recupero e pronto a dare una mano a chi cerca un riscatto sociale. Lo stato paga più di cento euro al giorno per ogni essere umano che “ospita”, affinché tutto fili liscio. Ma in carcere l’umanità si oscura e con lei anche i nostri nomi e cognomi.

Tanti si meravigliano quando sentono che gente di questi “paesini” si suicida. Altri si compiacciono a scrivere statistiche annuali su questi eventi. Qualcuno sembra voler indagare sul motivo di tanto menefreghismo nei riguardi delle carceri. Qualcuno. Giusto quel qualcuno che potrebbe essere il garante dei detenuti che di conseguenza lancia accorati allarmi all’istituzione che sborsa cento euro al giorno per ogni anima che riesce a svegliarsi al mattino. Con arrivi, partenze, trasferimenti, processi, scarcerazioni e via dicendo, è facile che qualcuno si perda nei vari “paesini” ma quando si muore per suicidio, qualcosa non torna. Come si suol dire: “i conti non tornano”. Forse nella casse dello Stato alla fine i conti tornano, ma nelle coscienze di chi gestiste il “ paesino” non è proprio possibile. L’istituzione copre il fallimento, si difende.

Il prossimo anno, tanto, ci saranno nuovi dati, nuove statistiche e nuovi articoli sui giornali. Tanto sarà sempre la stessa commedia, e ancora una volta la questione non interesserà a nessuno. Nei primi 10 mesi del 2022, più di sessanta persone si sono tolte la vita in carcere. In una di queste “sventure” riportate da Antigone, mi ha molto sorpreso un articolo che racconta il suicidio, nel carcere di Caltagirone, di un uomo quarantaquattrenne, originario di Catania. Non mi ha stupito la sua morte. Io stesso ho assistito a questi gesti estremi. Mi ha sorpreso invece l’emozionante dichiarazione di una maestra che conosceva la vittima. Prima di suicidarsi, l’uomo era inserito in una lista per una comunità terapeutica assistita, ma a causa del furto di un telefonino e di un portafoglio, sottratti al botteghino del teatro Massimo Bellini e subito restituiti ai legittimi proprietari, è finito in carcere. Purtroppo dopo pochi giorni è morto suicida, ma la sua memoria è rimasta viva grazie a una maestra che era venuta a conoscenza del suo caso.

Lo vedeva ogni giorno, malandato, cercare cibo tra i rifiuti. S.M. era affetto da psicosi con disturbo della personalità borderline ed era dedito all’abuso di alcolici. “Poverina la maestra – ho pensato – pur di far qualcosa per lui, ha mostrato alla questura un video di quel poveretto che dormiva in pigiama all’interno di un cassonetto”. La polizia le ha risposto che non era possibile intervenire in quanto nel video non si configurava alcun reato. Per fortuna non è un reato dormire in pigiama in un cassonetto, altrimenti quell’uomo sarebbe morto prima. È vero che lo stato paga molti soldi per i detenuti ma solo per farli scomparire dalle strade. Anche dalla vita,com’è successo a S.M. di Catania e a tanti altri che decidono di togliersi la vita in questo squallido “paesino”.

Capisco la maestra e tanti altri che pensano che il carcere o la pena debba tendere alla rieducazione del reo. Oppure sperano che dal carcere si venga subito condotti in una comunità di recupero. La gente non sa che in carcere il tempo non rallenta, ma scompare completamente. Forse quell’uomo non ha mai avuto a disposizione cento euro al giorno ma aveva la libertà che non ha prezzo. E grazie alla sua libertà la maestra ci racconta questo: “Oggi sono stata a S. Cristoforo e quasi lo vedevo curvo su se stesso girare il quartiere come un’anima in pena, non sono riuscita a salvarlo, e non smetto di starci male. Oggi vi chiedo con tutta me stessa di non girarvi mai dall’altra parte perché anche se la nostra società ha fallito, noi dobbiamo restare umani, dobbiamo continuare a credere che se tutti facciamo la nostra parte e ci aiutiamo nei momenti di difficoltà, questo mondo può essere davvero un posto migliore. Perdonami uomo buono dal cuore puro, non sono stata alla tua altezza, buon viaggio”. Per conto di S.M. io ti dico grazie maestra per queste belle parole, questo è il prezzo della vita, che non ha l’obbligo di darci ciò che ci aspettiamo.