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di Carolina Pascali/Abbiamo intervistato, in occasione di un incontro di presentazione, Anna Maria Selini autrice del libro “Vittorio Arrigoni: Ritratto di un utopista”, la storia del giornalista e scrittore, pacifista e “utopista” ucciso nell’ aprile del 2011, dopo il sequestro da parte di un gruppo terroristico di matrice jihadista 

Tu che hai conosciuto direttamente Vittorio, qual è la sua storia, come è arrivato a Gaza?
Vittorio è sempre stato un ragazzo interessato a cose diverse da quelle dei coetanei. Trascorrerà anni a viaggiare e a fare esperienze sul campo in ambito umanitario, passando dall’ est Europa al Sud America, all’ Africa. Al contrario del cooperante classico, quello che lo contraddistingue è la sua voglia di lasciare un segno concreto, da manovale, da costruttore e riparatore.
Dopo anni di viaggi, scopre la Palestina. Nonostante la sua preparazione notevole, confesserà di essersi scoperto impreparato per quello che lo avrebbe aspettato. Una svolta nella sua carriera arriverà quando entra in contatto con l’ISM, International Solidarity Movement, i cui volontari sono diversi dagli altri perché dichiaratamente orientati verso una libera Palestina. Sono non-violenti, celebri per le azioni concrete di supporto verso la popolazione, sull’ uso del proprio corpo come scudo umano. Dirà di aver scoperto Gaza come la madre di tutte le ingiustizie, nonché la più importante di tutte le battaglie. Al momento Gaza è sotto il controllo politico di Hamas, l’organizzazione paramilitare in molti stati considerata regime terrorista.
Si unisce dunque al Free Gaza Movement, quello che definirà un manipolo di utopisti, che prova a rompere l’ assedio di Gaza che dura da 40 anni, tentando di violare il blocco via mare, con due piccole barche e nascondendosi in due isolette greche, per sfuggire ai controlli. Il piano funziona, e riescono a entrare.
Quando il 27 dicembre 2008 inizia l’operazione militare Piombo Fuso a Gaza, la campagna militare lanciata dall’ esercito israeliano, con l’obiettivo di colpire Hamas, Arrigoni si trova là?
Sì Arrigoni e i suoi scelgono di restare in città durante l’ attacco, al contrario degli altri occidentali e del personale diplomatico, che viene evacuato in un luogo sicuro. Piombo Fuso fu un evento in cui rimasero uccisi circa 1300 persone, di cui la metà civili. Lui e i suoi compagni, partiti da volontari, finiscono per trasformarsi in reporter. S’accorge del tentativo massmediatico di censurare la guerra, inquinando le informazioni prese dal campo o negandole apertamente. Il suo blog sarà tra i più letti in Italia e lui chiamerà ciò che vede Il massacro.
Una cosa che Vittorio ripeterà spesso sarà che per la gente comune e i civili non esistono safe places, dato che gli obiettivi militari si sovrappongono ai luoghi del vivere quotidiano; non sono contemplati luoghi potenzialmente non attaccabili (scuole, ospedali… ) e il discorso sulla ricerca di obiettivi strategici sarà spesso usata dalle forze armate per giustificare i bombardamenti. Le sue azioni allo scoperto finiscono per diventare fastidiose per più di una parte.

In questo contesto pericoloso come si svolge la vicenda di Vittorio?
Negli ultimi mesi prima del rapimento la situazione comincia già a prendere una piega torbida.
Nel marzo del 2011, durante le primavere arabe, Vittorio Arrigoni si lancia in sostegno dei giovani di Gaza, in particolare durante la protesta del 15 marzo, una sorta di manifestazione “contro tutti”, contro qualsiasi forma di oppressione di una gioventù sana e libera, non solo contro Hamas. Lui diventa una sorta di leader, facendo suoi i diritti dei giovani, con una serie di azioni che lo fanno notare: la sua interposizione fisica quando i poliziotti fanno uso di violenza o la sua richiesta di presenziare agli interrogatori degli arrestati. Finisce per diventare inviso anche a vari politici.
Inizia sentirsi a disagio se non spaventato, quando nota messaggi, avvertimenti e  minacce che gli giungono sulla posta elettronica da emittenti anonimi. Arrigoni era solito condurre una vita a stretto contatto con la popolazione di Gaza, senza adottare misure di sicurezza come altri usavano fare, ritagliandosi momenti per lui e per i suoi amici. Sarà definito un soft target, un bersaglio facile, di cui si finisce per conoscere in breve tempo e senza ricerche troppo approfondite, abitudini, orari, conoscenze, luoghi frequentati. La situazione con il tempo peggiora.

E alla fine avviene il rapimento…
Fatto sta che il 13 aprile viene rapito da una banda in macchina che si spaccia per gente che vuole dargli un passaggio, e il 15 viene ritrovato cadavere, in una casa isolata affittata per il rapimento. Le azioni della banda sono gestite da un giordano di nome Breizat, da tutti descritto come fortemente carismatico e mosso da ardore religioso.
Nel momento del rapimento, i sequestratori telefonano a un membro di Hamas provando a concludere uno scambio offrendo Arrigoni come prigioniero, in cambio della liberazione di uno sceicco prigioniero. Lo scambio non avverrà mai perché Arrigoni viene strangolato da uno del gruppo, e prima della sua morte viene girato un video in cui lui si mostra bendato e dal volto tumefatto, forse già privo di sensi. 
Verrà data la spiegazione secondo la quale i terroristi di questa cellula malamente organizzata semplicemente si lasciano prendere dal panico senza avere la forza di concludere le trattative. Quello che accade poi è una serie di omicidi dei personaggi coinvolti nella vicenda, da Breizat allo sceicco segnalato per lo scambio, a causa di blitz delle forze armate che giustificheranno la loro condotta parlando di attacchi preventivi.
La spiegazione ufficiale della fine di Arrigoni la convince? O sono possibili altre versioni…
La versione ufficiale vuole che questo gruppo abbia rapito Arrigoni per questo scambio e poi per un attacco di panico, per un momento di tensione non controllato ed esploso, qualcuno lo ha ucciso prima del tempo.  Di fatto, il motivo che viene usato come chiave di lettura in questo caso è di matrice ideologico religiosa. Ma dei due pc posseduti dall‘ attivista uno non è mai stato ritrovato dopo l’uccisione, e il governo italiano non ha mai mosso un’indagine in quella direzione.

C’è possibilità che il fascicolo riapra? 
Gli elementi per una riapertura nelle indagini ci sarebbero, il discorso è che con Hamas non ci sono rapporti diplomatici, quindi questa possibile via è per ora ferma. Tuttavia si potrebbe sfruttare la disponibilità diplomatica della Giordania e svolgere un’indagine di intelligence su Breizat, su cui ci sono ancora molti punti in ombra. Anche in Italia tra l’altro, si è notato un atteggiamento discutibile: quando il corpo è stato rimpatriato, non c’ erano autorità di sorta ad accoglierlo.

Dopo 10 anni com’è la Palestina?
La situazione direi che è tragica, perché ristagnante, la metà della popolazione dipende dagli aiuti umanitari, non esistono industrie, ne un’economia, tantomeno possibilità di sviluppo, perché l’embargo blocca tutto. Dal punto di vista sociale poi, “la più grande, nonché storica arma dei palestinesi”, ovvero il tasso di natalità altissimo rispetto ai nostri standard, è pesantemente compromesso dalle contaminazioni dei metalli pesanti presenti nelle armi, che ormai fanno parte del quotidiano di queste persone. I danni alla fertilità di questo popolo sono enormi a causa della continua esposizione a sostanze nocive.

Ci sono parole che possiamo considerare a distanza di  anni dalla sua morte come l’ eredità di Vittorio?
Il suo motto “Restiamo umani”, “Stay Human” è tornato prepotentemente a farsi riudire negli ultimi tempi, diventando un neologismo, che spesso finisce per rimpiazzare la storia di chi c’era dietro, la scelta di vita di un uomo, le sue battaglie, e i suoi ideali.