image_pdfimage_print

“Mi chiamo Sofia Orr e mi rifiuto di arruolarmi nell’esercito israeliano perché in guerra non ci sono vincitori. Solo perdenti. Tutti quelli che vivono qui stanno perdendo.

In Israele, il 7 ottobre, tutti noi, soprattutto chi vive vicino a Gaza, abbiamo vissuto orrori indicibili che nulla può giustificare. Da allora, decine di migliaia di persone sono state evacuate dalle loro case, i soldati vengono mandati in battaglia ogni giorno per morire e rimanere feriti, gli ostaggi rimangono in una brutale prigionia a Gaza, senza un piano credibile per riportarli a casa e la società israeliana sta cadendo sempre più in profondità in deliri messianici, soppressione politica e sete di vendetta.

A Gaza sono morte decine di migliaia di palestinesi, di cui più di diecimila bambini, e altre decine di migliaia sono rimaste ferite. Innumerevoli profughi vivono in tende, soffrendo la fame e la diffusione di malattie, senza elettricità e senza igiene di base, circondate solo da rovine. Tutto questo non fa che aumentare l’odio contro Israele e il sostegno ad Hamas. I cittadini comuni di entrambe le parti stanno pagando un prezzo inimmaginabile in questa guerra e la situazione sta solo peggiorando.

Il presente e il futuro dei cittadini palestinesi e israeliani sono inseparabili. Non si tratta di “noi” contro “loro”, né di una situazione in cui una parte deve o può sconfiggere l’altra. La sicurezza sarà raggiunta solo quando entrambe le parti vivranno con dignità: o perderemo tutti in guerra, o vinceremo tutti in pace.

Quasi tutte le persone che vivono tra il fiume Giordano e il mare vogliono vivere una vita tranquilla. Le violente politiche di occupazione, e ora la guerra, impediscono a tutti noi di farlo e spingono sempre più persone da entrambe le parti alla falsa convinzione che solo la violenza possa risolvere il conflitto. La guerra non fa che rafforzare gli estremisti di entrambe le parti e le loro ideologie.

I potenti ci dicono, come in tutti i precedenti cicli di violenza, che questa volta ‘distruggeremo’ Hamas, che questa volta la ‘deterrenza’ funzionerà, ma i gruppi violenti ed estremisti si rafforzano solo con la violenza estrema. Si può essere tentati di pensare che ‘dopo aver distrutto Hamas in guerra, allora potremo raggiungere una vera pace e tranquillità qui””, ma questa è un’illusione. È una storia che ignora il fatto che Hamas è più di un gruppo violento: è il prodotto di una mentalità violenta ed estrema che cresce e fiorisce in condizioni di oppressione e violenza estrema. Hamas può rafforzarsi solo quando ogni alternativa, orizzonte o speranza sono stati negati per decenni. È proprio per questo motivo che Hamas si è rafforzato dall’inizio della guerra, sia a Gaza che in Cisgiordania. Anche se l’esercito riuscisse a uccidere tutti i combattenti di Hamas e a smantellare tutti i tunnel, senza un orizzonte di speranza, sorgerebbe un’organizzazione ancora peggiore a sostituirla e il ciclo della violenza continuerebbe. Il vero nemico non è Hamas, ma piuttosto la mentalità estremista che rappresenta e che si rispecchia in Israele. Questo modo di pensare può essere smantellato solo attraverso una ricerca politica della pace e proponendo ai palestinesi un’alternativa di speranza.

Essendo la parte più forte, Israele ha la responsabilità di perseguire questa alternativa. Ha il potere di promuovere una soluzione politica e di dettare il tono, cambiandolo in uno che promuova la pace invece della violenza. L’unica strada che potrà mai portare a una vera soluzione del conflitto è quella politica, che comprende una giusta indipendenza della Palestina e la concessione di uguali diritti a tutti i popoli dal fiume al mare.

Quando avevo 16 anni, ho visitato la Cisgiordania con i miei compagni di classe durante una gita scolastica. Abbiamo parlato con coloni e ragazzi palestinesi della nostra età. Quando abbiamo parlato con i giovani palestinesi, uno dei miei compagni ha chiesto quale fosse il loro sogno nella vita. E uno di loro ha risposto: “L’unico sogno che una persona rinchiusa in una gabbia può avere è quello di uscire”.

Questa frase mi è rimasta impressa e ora è il motivo per cui mi rifiuto di arruolarmi: non prenderò parte a un sistema che è il problema e non la soluzione. Un sistema che danneggia la sicurezza invece di mantenerla. Mi rifiuto di arruolarmi per dimostrare che il cambiamento è necessario e che il cambiamento è possibile. Mi rifiuto di arruolarmi per la sicurezza di tutti noi in Israele-Palestina e in nome di un’empatia che non è limitata dall’identità nazionale. Mi rifiuto di arruolarmi perché voglio creare una realtà in cui tutti i ragazzi tra il fiume e il mare possano sognare, senza gabbie”.