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Questo venerdì, 18 settembre alle ore 21, in via Pietralata 58 a Porta Pratello verrà proiettato il docufilm We are not together. Il documentario, ad oggi, ha già ottenuto dei premi presso alcuni film festival nazionali e internazionali: Best International Feature al NYC Greek Film Festival di New York, Menzione d’Onore al Myart Film Festival di Cosenza ed è arrivato a essere semifinalista al London International Greek Film Festival.
In anteprima dell’evento Laura Cesaro, la produttrice, racconta la sua esperienza e alcuni retroscena del documentario.

Come è nata la tua collaborazione con We are not together?
Viste le condizioni delle migliaia di persone intrappolate in Grecia dopo la chiusura dei confini europei nel 2016 ero partita come volontaria. Ero ad Atene da circa un anno ed ero diventata la coordinatrice del progetto educativo della scuola per profughi No border school e lì ho conosciuto il regista. Alex Nezam, infatti, era arrivato come insegnante di inglese e ha lavorato con me come volontario fino alla scadenza del visto. Essendo statunitense aveva la possibilità di trattenersi in Grecia solo per tre mesi. In questo lasso di tempo, però, abbiamo potuto conoscerci e riflettere insieme su un tema che ci stava particolarmente a cuore: come attualmente i mass-media rappresentano i profughi. A nostro avviso è un immagine spesso fuorviante e per nulla veritiera. Così abbiamo cominciato a elaborare l’idea di creare un qualcosa che potesse fare riflettere le persone sul tema dei migranti. Dato che Alex è un regista, abbiamo deciso di produrre il docufilm We are not together. Abbiamo fatto partire un crowdfunding per raccogliere i fondi.

Qual è il messaggio che vuole trasmettere il vostro documentario?
Principalmente vorremmo sottolineare che non esistono soluzioni facili a un fenomeno così complesso. Non vogliamo dare una risposta con questo documentario ma la possibilità di fare sentire agli spettatori la voce di chi è direttamente coinvolto. Abbiamo deciso, infatti, di utilizzare delle GoPro, ovvero delle piccole telecamere portatili che abbiamo dato direttamente ai protagonisti. Questo crea una paternità nella loro rappresentazione e fa sì che il film resti fedele ai suoi protagonisti. Solo in questo modo si può raccontare tutta la complessità della loro personalità, anche se sono sullo schermo solo per pochi minuti. 

Qualche curiosità durante le riprese?
A dire il vero è successo un fatto che ha cambiato la mia vita per sempre. Alex è tornato dopo un anno per le riprese e poco dopo We are not together è diventato anche il nostro progetto d’amore. A distanza di qualche mese dall’inizio delle riprese ci siamo sposati.

Per quanto riguarda la promozione e la distribuzione del vostro documentario, cosa prevedete per il prossimo futuro?
Fino ad oggi non abbiamo avuto la possibilità di distribuire liberamente il documentario poiché era iscritto ad alcuni film festival negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Spagna e anche in Italia. È nostro intento renderlo accessibile a tutti a breve. Il nostro progetto non è a scopo di lucro, è nato per stimolare le persone a farsi delle domande in merito alle condizioni di vita dei profughi e soprattutto per dare una rappresentazione veritiera della situazione. Desideriamo che tutti lo possano vedere e usufruirne.