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11 marzo

Si torna lentamente alla normalità nel carcere della Dozza. La rivolta è stata sedata nel pomeriggio di martedì 10 marzo. Sono 22 i feriti di cui 20 detenuti, molti medicati sul posto, e 2 agenti di polizia penitenziaria. E’ probabile che nei prossimi giorni si dovrà ricorrere al trasferimento di una parte dei reclusi per far fronte al restauro dei locali danneggiati. La trattativa messa in atto per arrestare la rivolta ha dato modo ai detenuti di esprimere le proprie frustrazioni e di avanzare alcune richieste di concessioni al fine di rendere la vita in carcere più accettabile. 
Si presume che gli autori della rivolta non fossero in un numero molto ampio anche se si deve ancora attendere lo svolgimento delle indagini per valutare le dinamiche dell’avvenimento e ipotizzare i reati da perseguire.

Viene spontaneo chiedersi come si è potuto arrivare a tanto. Certamente la sospensione dei colloqui con i famigliari ha spinto i detenuti a ribellarsi ma si tratta solo della goccia che ha fatto traboccare il vaso. E’ difficile che  si divulghino notizie sulle condizioni reali di vita nelle carceri, vita dei detenuti ma anche di coloro che ci lavorano. Quanto i cittadini sanno di questo argomento? Quanti possono affermare di avere visitato una struttura del genere? Troppo spesso ci si volta dall’altra parte sentenziando che chi sconta la pena si meriti una vita travagliata. Il rapporto di Antigone, associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”, riporta i dati basati sull’osservazione delle carceri italiane e in particolare in quello della casa circondariale di Rocco D’amato sono i numeri a balzare all’occhio, quelli di capienza e di presenza effettiva di detenuti. 

Errare umanum est (…). Chi ha commesso reato deve necessariamente scontare la pena adeguata ma restare dietro alle sbarre non è il fine ultimo della punizione lo è invece il lavoro di coscienza che il detenuto deve compiere per rispondere alle conseguenze delle proprie azioni. Si tratta dunque di un qualcosa che va oltre alla semplice reclusione fisica. E’ necessaria una garanzia di vita umanamente accettabile anche negli istituti di detenzione poiché la coscienza è prettamente una caratteristica degli esseri umani.

10 marzo

Si continuano a fare i conti dei danni provocati dalla rivolta delle carceri. A Bologna il primo, parziale bilancio parla di cinque feriti: 3 detenuti e 2 agenti della polizia penitenziaria. La struttura è al momento in mano ai rivoltosi i quali hanno dato fuoco a lenzuola, cuscini e nella notte scorsa anche a 3 auto della polizia penitenziaria. Il Sinappe (Sindacato Nazionale Autonomo Polizia Penitenziaria) ha tentato un dialogo con i detenuti poiché sembra che non tutti abbiano aderito alla rivolta. Non tutti i reparti, infatti, hanno preso parte ai disordini ma il tentativo di dialogo è fallito comunque.
Una ventina di detenuti sta continuando a presidiare il tetto del carcere della Dozza con striscioni che reclamano diritti. Di fronte al carcere, invece, una trentina di manifestanti chiede l’amnistia per tutti. Le forze dell’ordine schierate intorno alle mura continuano a vigilare al fine di prevenire le evasioni.

I detenuti morti del Sant’Anna di Modena, invece, salgono a 7. I restanti intossicati restano in cura in ospedale. La struttura è stata confermata come inservibile.
Paola Cigarini, volontaria, referente del Gruppo Carcere – Città di Modena, spiega in un’intervista video alla Gazzetta di Modena che “probabilmente i detenuti si sono sentiti abbandonati anche dai volontari, ma la nostra intenzione era invece quella di avere cura della loro salute, per questo non siamo più tornati in carcere. Sono convinta – precisa la volontaria – che solo una piccola parte dei detenuti è responsabile delle violenze avvenute e non la maggioranza”.

9 marzo

Sono 27 le carceri, in tutta Italia, dove si stanno svolgendo proteste da parte dei detenuti. Gli istituti penitenziari, si sa, sono sovraffollati da sempre e nella situazione di emergenza sanitaria in cui verte il Bel Paese risulta alquanto difficile applicare le norme sanitarie laddove non si è normalmente nemmeno in grado di prevenire una semplice infestazione di pidocchi. A farne le spese sono state le libertà personali dei detenuti e proprio a causa di una insufficiente prevenzione sanitaria nei penitenziari sono stati sospesi i colloqui con i famigliari provocando così un’ondata di ribellione generalizzata. Sono state avanzate le richieste di provvedimenti contro il rischio dei contagi ma senza limitare la possibilità di contatto con i famigliari anche solo in via telematica.

In merito alla vicenda il sindacato della Uil afferma: «Non si dica che quanto sta accadendo è per il Coronavirus ma è con il Coronavirus perché il grave stato emergenziale che attanaglia le carceri, i detenuti e chi vi opera è in essere da troppo tempo».

La rabbia ha portato a una devastazione totale di molti locali dell’istituto Sant’Anna di Modena rendendo di fatto non più idonea la struttura e costringendo quindi a un trasferimento coatto. I detenuti che hanno approfittato della rivolta per assaltare l’infermeria e fare razzia di farmaci hanno finito per assumere dosi letali di metadone. Si contano già 6 morti deceduti tra domenica 8 e lunedì 9 marzo. Oltre ai tre cadaveri rinvenuti la sera di domenica, altri tre detenuti sono morti durante il trasporto ad altre strutture, a Parma, Alessandria e Verona. Altri ancora sono stati portati in ospedale: 6 in pronto soccorso e 4 in terapia intensiva. In totale sono 18 i detenuti che sono stati presi in cura, la maggior parte per intossicazione.

Anche a Bologna, alla Dozza è scoppiata la rivolta e i detenuti si sono impossessati della struttura. Attualmente sono 900 le persone recluse alla casa circondariale Rocco D’Amato, il doppio della capienza.

Il segretario generale Roberto Santini ha chiesto al presidente del Consiglio Giuseppe Conte “un commissariamento urgente della gestione delle carceri al fine di arginare nell’immediato un fenomeno che non ha pari nella storia”. Il Sinappe chiede anche “l’immediata immissione nel circuito lavorativo degli allievi agenti oggi fermi nelle scuole di formazione”.