image_pdfimage_print

Fabian si presenta tra le linee di una storia che parla di occasioni, di scambio con l’altro, di persone. Cominciando con la metafora di una favola, mette in luce l’importanza e il valore di ogni esperienza.

Fabian è un uomo sulla cinquantina, dalla pelle scura e un italiano perfetto. Quando è arrivato in Italia aveva appena 24 anni e ormai sono più gli anni trascorsi a Bologna di quelli vissuti nel suo paese d’origine, il Camerun. Difficile stabilire quale delle due culture lo rappresenti di più o a quale delle due si senta di appartenere maggiormente.

«Ho abbracciato la cultura italiana: il ragù a casa mia lo faccio io, le lasagne le faccio io, e le mie figlie adorano il fufu». Così Fabian descrive come le due culture si siano fuse nella sua vita di tutti i giorni e sorride ripensando alla risposta di sua figlia quando le dice di essere italiano: «No papà, tu hai genitori africani e quindi sei africano». Riflettendo su cosa possa essere la cultura, Fabian dice che per lui altro non è che «ciò che dà colore e bellezza alla vita». Ed è così che, mentre alcuni aspetti del Camerun sono rimasti fortemente radicati dentro di lui, c’è una parte di lui che si è totalmente allineata con la cultura italiana. Non nasconde che legarsi ad una nuova cultura sia stato un processo complesso e talvolta difficile ma «chi accetta di far nascere l’amore con questo paese si integra e va avanti».

«Quando arrivo all’aeroporto chiederò una scopa per spazzare tutto»

La sua storia lo conduce dalle prime notti passate su una panchina al parco della Montagnola fino ad essere oggi il presidente dell’associazione Universo. La grinta e la voglia di fare rappresentano la chiave di lettura della sua esperienza da migrante, soprattutto in un periodo in cui non c’era un sistema di prima accoglienza ben delineato e se si voleva ottenere qualcosa si doveva faticare. Il volontariato è una costante del suo percorso che, fin dal primo momento in Italia, è sempre stato caratterizzato da una grande voglia di lavorare e mettersi a disposizione dell’altro.

«Adoravo l’Italia e volevo adorare gli italiani. Venendo qua avevo idee positive. “Quando arrivo all’aeroporto” – mi dicevo – “chiederò una scopa per spazzare tutto l’aeroporto e farò capire agli altri quanta volontà ho di lavorare”. Mi sentivo in un posto dove poter essere accolto, nonostante poi abbia avuto molte frustrazioni, perché le prime discriminazioni che ho subito mi hanno molto scosso».

Scontrarsi con i pregiudizi

Fabian parte, come molti altri, alla ricerca di una vita migliore affascinato dall’Italia per i suoi grandi scrittori che, nel suo percorso universitario in Camerun in Lettere moderne, aveva avuto modo di conoscere. Poi le scarpe, i vestiti, il calcio e la Chiesa Cattolica fanno innamorare Fabian, che arriva in Italia pieno di buona volontà. Nonostante i suoi buoni propositi, quando Fabian arriva a Bologna, si scontra con una realtà ancora molto chiusa rispetto al tema della diversità, e spesso si trova a dover fare i conti con una popolazione locale vittima di pregiudizi difficili da abbattere.

«La madre della mia prima fidanzata, quando mi sono presentato la prima volta, non mi ha voluto dare la mano. Il primo giorno che ho preso l’autobus mi trovavo vicino ad una ragazza che all’improvviso si rese conto di aver perso il portafoglio, e lei immediatamente si rivolse a me, chiedendomi di restituirglielo. E ogni volta che il controllore saliva sull’autobus, si avvicinava subito a me a chiedere il biglietto, senza poi andare a chiederlo anche agli altri passeggeri».

«I muri sono diventati un’occasione per provare ad abbattere i pregiudizi»

All’inizio non era facile, ma tutto ciò ha dato a Fabian la forza di reagire per promuovere un cambiamento che potesse partire dalle semplici azioni della vita di tutti i giorni.«All’inizio mi arrabbiavo e reagivo male. Però poi mi sono reso conto che con questo atteggiamento non potevo ottenere quello che volevo. Così ho optato per un altro approccio: quando vedo persone che sono “rigide con l’integrazione”, che mettono un muro tra me e loro, mi dico che questa è la mia opportunità di convincerle del contrario, per abbattere quel muro fatto di pregiudizi».

E così quando andava a parlare coi presidenti di quartiere e qualcuno lo scambiava per un venditore ambulante invitandolo ad andarsene, iniziava a parlare facendo grandi frasi al condizionale, ricevendo scuse imbarazzate per il fraintendimento. Quella che all’inizio era rabbia, era diventata una ricerca di strategie per abbattere i muri che i pregiudizi costruiscono.

La politica e l’associazionismo

Inizia così l’impegno sociale di Fabian che, già dai primi tempi all’Università di Bologna, raduna un gruppo di ragazzi e si mette a servizio di un campo nomade di profughi della guerra del Kosovo che si trovava a Trebbo di Reno. Da qui nasce un progetto che ha visto impegnati per diverso tempo Fabian ed altri studenti che andavano ogni giorno tra i bambini del campo. Ad oggi quel campo non esiste più e ciò si deve anche a chi ha deciso di dedicare alle persone che ci abitavano del tempo, affinché i loro bisogni non fossero invisibili. Fabian continua poi riferendosi ai giovani di oggi esortandoli a costruirsi un ruolo da protagonisti nelle tematiche che hanno a cuore: «Per iniziare a cambiare il mondo bisogna chiedersi: che cosa possiamo fare oggi e qui. Voi giovani avete una forza che non potete immaginare».

Da qui il percorso di Fabian, con i suoi studi e i diversi lavori, rimane sempre allineato all’impegno sociale che lo vede prima membro dell’associazione Dimondi, poi attivo nei diversi centri sociali come il Link ed il TPO, e poi nell’associazione Universo. «Per me l’associazione è il modo più diretto di fare politica. In questa io posso agire, posso muovermi quando ho un problema. Scrivo un progetto per arrivare direttamente al problema».

Continua poi rivelando ciò che lo spinge nel suo impegno «Uno dei miei punti di forza, e forse anche una mia grande debolezza, è il fatto di pensare che ad ogni problema ci può essere una soluzione, e che posso trovarla. Quando incontro un’altra persona, so che la cosa che ci accomuna è la voglia di vivere e di avere una dignità di base. Quindi se posso, attraverso il tempo che ho, aiuto gli altri, e questo mi dà gioia, mi fa sentire vivo».

L’immigrazione come una storia d’amore

Pensando poi ad altre storie di immigrazione, Fabian riflette su quanto sia soggettiva l’esperienza di ognuno e come talvolta possa portare a una chiusura e ad un forte affidamento nella propria comunità.

«Io ho sempre descritto l’immigrazione come una storia d’amore. Prima di venire qua, mi ero fatto un’immagine di cose belle riguardanti l’Italia. Arrivi con idee belle e positive, per il paese e per le persone. Ma quando arrivi e l’Italia ti rifiuta, devi capire che devi persistere. Però molti rimangono chiusi in quel rifiuto iniziale, e decidono di star qua per mettere da parte un po’ di soldi, per poi andarsene».

Sono molti infatti i migranti che non riescono totalmente ad entrare in contatto con la cultura ospitante e che continuano a rimanere fortemente attaccati alla terra di origine, rischiando di vivere una situazione di limbo senza essere davvero protagonisti in nessuna delle due parti. In quest’ottica, anche il ruolo della comunità può essere duplice perché, se da una parte permette di conoscere persone che stanno vivendo la stessa esperienza, dall’altra rischia di tenere legati alle proprie origini senza mai integrarsi totalmente nel tessuto sociale di accoglienza.

Per questo secondo Fabian, l’integrazione è un processo che vede coinvolti in prima persona sia i migranti stessi che la società che li accoglie. Chi arriva deve essere pronto ad aprirsi alla diversità armandosi di impegno, interesse, formazione. D’altra parte, citando l’economista e filosofo indiano Amartya Sen, Fabian riflette su come la società dovrebbe dirigere l’attenzione verso le diverse realtà culturali presenti sul territorio in modo da garantire l’accesso alle risorse economiche a tutti: dai camerunesi ai senzatetto. Solo tramite questa tacita collaborazione potremo raggiungere una realtà più inclusiva dove chi migra non è più visto con la diffidenza del diverso, ma con gli occhi di una società che valorizza le differenze e le include allo stesso modo tra le trame del suo tessuto.

Linda Graziani, Raffaello Rossini, Almut Ingrid Ritter

Leggi gli altri articoli >>