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Il prossimo martedì 8 giugno alle ore 21 sulla pagina Facebook del Centro Donati si svolgerà l’incontro intitolato “Un passo dopo l’altro”. Ospite della serata lo scrittore Matthias Canapini, un giovane che ha trascorso vari anni in viaggio per il mondo alla ricerca non tanto dei monumenti o di belle spiagge andando a raccogliere storie sulle persone che ha incontrato. Questo suo impegno si è tradotto in numerosi reportage foto giornalistici.
La testimonianza di Canapini fa parte di una serie di eventi on line (Invito a viaggiare) che il Centro Studi Donati ha organizzato in previsione del “Viaggio universitario nelle Terre Mutate”, un trekking solidale nel cratere sismico delle zone terremotate dell’Appennino centrale che si svolgerà dal 24 al 31 luglio 2021.
Abbiamo incontrato Matthias facendogli alcune domande soprattutto su cosa significhi per lui viaggiare.

Da dove tutto ha avuto inizio? Come ti è nata questa voglia di viaggiare?
I miei genitori hanno abituato me e i miei fratelli al viaggio, fin da quando avevamo 5-6 anni portavano in giro per l’Europa. Ma il viaggio lento, quello, l’ho iniziato a 19 anni da solo.

Cosa intendi per viaggio lento?
Viaggiare lento vuol dire soprattutto incontrare l’altro, vivere in una dimensione più intima con chi incontri. In questo nodo il tempo si dilata e ho trovato nella lentezza una strumento per portare a casa delle storie
Quando sono in viaggio mangio, dormo, passo del tempo con le persone che poi intervisto, li conosco a fondo. E’ un viaggio fatto di zaini pesanti, dove cerco di evitare, se è possibile l’aereo dato che la velocità limita il contatto umano, il calore umano. Nella lentezza dei piedi ho trovato lo strumento adatto, il mio viaggiare è sempre un pellegrinaggio.

Come nascono i tuoi viaggi e i tuoi libri?
La mia prima esperienza è stata in Bosnia, un paese dove era scoppiata la guerra l’anno in cui ero nato. Volevo fare un’indagine sulle mine antiuomo che costituivano un pericolo per la popolazione civile. Mi sono documentato e con l’aiuto di una ong che lavorava sul campo sono partito.
In generale ero interessato a vedere le conseguenze lasciate dalle guerre passate e così successivamente sono partito per la Cambogia sempre occupandomi di mine antiuomo, poi in Vietnam dove i defolianti usati dall’esercito statunitense ancora si fanno sentire sulla salute della popolazione. Sono stato anche in Nepal per documentare la devastazione naturale provocata dal terremoto. Al ritorno mi sono unito a una famiglia seguendo il flusso dei migranti economici che cercano di raggiungere l’Europa tramite la rotta balcanica. Mi sono avvicinato ai nostri confini perché ho sentito l’esigenza di raccontare le cose che stavano più vicine al posto dove sono nato.

Quale fra i tuoi libri sei più legato?
Il mio libro migliore è “Il passo dell’acero rosso”: è anche il viaggio più libero che ho fatto, senza appoggiarmi a ong o a gruppi locali. Mi sono messo lo zaino in spalla e sono partito passando un anno e mezzo nell’appennino marchigiano, un luogo a me vicinissimo dato che sono nato a Pesaro. Per un anno e mezzo ho incontrato le persone che erano rimaste sul territorio nonostante il sisma e ho raccolto le loro storie. In un viaggio lento.
Anche “E’ così la vita” è un libro che amo molto. Qui ho raccolto la testimonianza di vecchi partigiani o contadini delle mie zone. Il tema focale era quello della memoria.
Insomma sto cercando di rallentare ancora di più il passo e sto focalizzando la mia attenzione sul sotto casa, sull’erba che pesto. Mi sono reso conto che nei miei viaggi precedenti correvo il rischio di tornare nella logica consumistica: questo ti porta a consumare il viaggio e le persone, anche il loro dolore, e mi sono reso conto di aver corso tanto e di aver perso cose.

La maggior parte di noi consuma i nostri viaggi in voli Ryanair visitando velocemente delle capitali: che consigli di viaggio ci dai per cambiare stile?
E’ difficile dare dei consigli. Posso solo dire che per fare un’esperienza diversa occorre cercare dei contatti sul luogo, bisogna affidarsi all’altro, alle persone.
Meglio viaggiare soli, non per il semplice gusto della solitudine ma perché ho visto che quando uno viaggia in solitaria incuriosisce molto le comunità che incontri che ti avvolgono in una sorta di coperta. Insomma attiri maggiori amicizie e ti scavi dentro.
Spesso mi domandano se questo modo di viaggiare è da tutti, anche per le ragazze. Posso solo dire che ho incontrato ragazze che osavano entrare in zone di guerra dove io non avrei mai messo piede; dipende dalla vocazione, da cosa uno sente e dai contatti che uno ha in zona.

Per quanto riguarda la tua scrittura chi ti ha più ispirato?
Ryszard Kapuscinski è il mio modello, poi Tiziano Terzani: mi ha colpito il loro modo di raccontare le storie, soprattutto il primo.

Quale sarà il tuo prossimo viaggio?
Penso che ci sia una fase dell’azione e una della costruzione. Adesso sono in questa: vorrei laurearmi in Scienze delle Educazione e dato che devo trovare il denaro necessario, adesso sto lavorando in un rifugio nel Casentino.