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Secondo appuntamento per la rassegna “Invito a viaggiare” organizzata dal Centro Studi Donati. Questa volta sarà Angelo Ferracuti, reporter e scrittore che presenterà on line mercoledì 16 giugno alle ore 21 “Gli spaesati”, il suo libro dedicato alle genti delle terre colpite dal sisma nel 2016. L’incontro verrà trasmesso in diretta sulla pagina Facebook del Centro Donati e sarà possibile anche rivolgere domande all’autore.

Questo incontro fa parte di una serie di eventi on line che il Centro Studi Donati ha organizzato in previsione del “Viaggio universitario nelle Terre Mutate”, un trekking solidale nel cratere sismico delle zone terremotate dell’Appennino centrale che si svolgerà dal 24 al 31 luglio 2021.

Sono un reporter e racconto storie dal vero andando nei luoghi, questo libro, che ho fatto con il fotografo Giovanni Marrozzini, non è un libro d’inchiesta ma ho voluto raccontare una condizione umana. Abbiamo intervistato Angelo Ferracuti sulla sua esperienza di reporter nelle zone terremotate.

Come è nata l’idea del libro e che cosa hai voluto raccontare di quelle terre?
Il libro ci è stato commissionato dello Spi Cgil nazionale. Siamo così andati sul campo e abbiamo visitato tutto il territorio delle quattro regioni coinvolte dal sisma cercando un taglio diverso da quello sensazionalistico dei giornali e della televisione.
Abbiamo raccontato la vita che scorre. Andavamo nei luoghi e parlavamo alle persone cercando di essere fedeli al vero. Abbiamo raccontato storie di persone radicate nei luoghi, dando risalto a coloro che restavano nonostante la difficoltà di vivere nei paesi di montagna.

Abbiamo raccontato anche di quelli che erano stati “deportati” verso la costa. Lì è nato il titolo del libro, gli Spaesati, perché c’era un spaesamento ulteriore per quelle persone. Ricordo un giorno a San Benedetto del Tronto che stava nevicando e c’erano dei montanari. Si capiva solo a guardarli che si sentivano fuori luogo, anche nel modo di vestire. Guardavano la neve come se fosse qualcosa che li riavvicinasse alla montagna e questa cosa mi ha molto commosso.
E’ un libro che racconta la frattura tra l’Italia interna, quella degli appennini, dove si conservano di più le nostre tradizioni, anche i nostri sapori e l’Italia delle coste che sono i luoghi del divertimento ma anche dell’omologazione. Sono luoghi meno identitari, l’Italia interna è più autentica in questo senso.

Come prepari tuoi reportage?
Mi preparo sempre e cerco sul luogo delle persone di riferimento con cui prendo accordi; è solo attraverso loro che si riesce a venire in contatto con la realtà locale, a ottenere la fiducia delle persone, fiducia che poi ti permette anche di entrare nelle loro case, di entrare in confidenza.
Io e il fotografo abbiamo cercato di fare un racconto più umano, stando con loro, entrando nelle loro casette, passando tante ore assieme: è stata un’esperienza moto bella ed è durata un anno. Abbiamo scelto di andare nelle frazioni più sperdute dove non andava nessuno, lì le persone avevano loro voglia di parlare, di raccontare.

Qualcuno di questi testimoni ti ha colpito in modo particolare?
Mi è rimasto impresso un vecchietto che viveva in una roulotte sotto una quercia centenaria. Per tutta la vita aveva fatto il pecoraio e abitava lì perché non era riuscito ad abitare sulla costa e così era tornato indietro da solo. “Qui c’è tutta la mia vita” mi ha detto; aveva le foto delle sua famiglia, anche quella di sua madre, attaccate alle pareti della roulotte.
Ho incontrato tante persone particolari, dei monaci benedettini americani a Norcia che stavano ricostruendo da soli, un eremita polacco a Preci che si definiva come l’uomo più vicino alla faglia perché viveva in un eremo incastonato nella montagna da dove è partita la scossa sismica.

I vecchi sono stati l’anello debole in questa vicenda, molti sono morti poco dopo l’evento perché questa situazione li aveva disorientati e ha accelerato la loro fine, soprattutto quelli che sono stati deportati sulla costa.
Ho intervistato tante persone, penso più di 350. Lo faccio con piacere perché considero il mio lavoro di reportage come una forma di cittadinanza attiva, un modo per partecipare alla vita degli altri.

Dopo questo reportage che idea ti sei fatto sulla possibilità di rinascita di questi luoghi?
Ci sono delle zone che sono state recuperate, soprattutto in Umbria, altre zone no; ci sono paesi che verranno ricostruiti in altri luoghi come Pescara del Tronto. Altri paesi cambieranno molto: a Castelluccio di Norcia in questo momento c’è un brutto agglomerato di negozi che speriamo sparisca prima o poi. Molto dipenderà dalla politica ma anche dalle comunità locali, quelle più attive avranno maggiori chance.