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di Pasquale Acconciaioco/“Detenuto 501, vorrei chiederle: prima di entrare in carcere, vorrebbe esprimere un ultimo desiderio?”. “Sì, Signor Presidente. Vorrei postare per l’ultima volta una fotografia su Facebook.”
Sembra una cosa surreale ma, se ci pensate bene, forse non lo è. Ormai i social network, in particolare Facebook, hanno invaso le nostre menti.

Sdraiato sulla branda della mia cella con lo sguardo rivolto al cielo, rifletto sulle emozioni e sui momenti della vita che ci fanno star bene.
Un giorno, ho chiesto al mio compagno di cella: “Qual è la cosa che ti manca maggiormente della vita quotidiana esterna?” Senza pensarci due volte, mi ha risposto: “Mi manca il cellulare, scattare foto e postarle su Facebook per poi leggere i commenti del miei amici.” Molto spesso sono amici di nome e non di fatto perché, come spesso accade, gli amici si allontanano nei momenti di difficoltà; infatti, in carcere è difficile che riceviamo lettere dai nostri amici di Facebook.

In realtà, la sua risposta non mi ha sorpreso più di tanto. Pensandoci un attimo, sono dell’idea che, sebbene siano vari gli usi dei social network con accezione positiva, questi hanno modificato profondamente la nostra vita e le nostre relazioni, facendoci perdere di vista l’importanza dell’interazione reale con famiglia e amici.
Un tempo la famiglia era al primo posto, anzi, forse competeva con le storie d’amore, anche se la famiglia è essa stessa una forma di amore. Insomma un “derby” in famiglia: nonostante le scappatelle, alla fine ci si arrendeva ai genitori.
Oggi, invece, sento storie di figli che, anziché preoccuparsi che non sentono per settimane i loro genitori, hanno come unico interesse quello di commentare le emozioni che gli amici virtuali hanno condiviso sui social.
Questo mi fa pensare che il mondo virtuale ha acquisito una maggiore importanza rispetto alla vita reale. Quali sono i motivi che spingono l’individuo ad occupare un proprio spazio nel mondo Facebook? Forse perché così ci sentiamo meno soli?

Tuttavia, sia i mezzi di comunicazione che i social media, usati nel modo giusto, costituiscono una grande risorsa, agendo, in maniera positiva, sullo stato d’animo delle persone, in particolar modo di coloro che si sentono sole, come noi detenuti.
In carcere, è assolutamente vietato avere telefonini, computer e ad accedere a internet. La regola vale anche nei confronti di chi, come me, è in regime di semilibertà. Non posso nemmeno avere un contatto giornaliero con la mia famiglia e la mia fidanzata. Posso telefonare due volte a settimana e ogni telefonata dura solamente dieci minuti. Ecco forse il motivo per cui, in carcere, gli affetti acquisiscono una grande importanza: la mancanza fa risaltare ciò che davvero conta nella vita.
Se mi dovessero chiedere qual è il modo per migliorare la mia permanenza in carcere, risponderei Facebook, proprio pensandolo come una possibilità di stare a contatto con le persone che amo.