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di Enzo Messina/ Martedì 21 febbraio nella biblioteca dell’area pedagogica della Dozza, sede della attività di Ne vale la pena, si è svolto l’atteso incontro, fissato ormai da qualche tempo, con la presidente facente funzioni del Tribunale di sorveglianza di Bologna.
L’incontro era stato organizzato dal cappellano del carcere, p. Marcello Matté, su esplicita richiesta di noi partecipanti alla redazione e rientrava nel programma di interviste a figure che ricoprono un ruolo di rilievo nell’ambito del circuito carcerario e/o giudiziario; il contatto con soggetti istituzionali è per noi occasione importante di confronto e sensibilizzazione reciproca sui problemi che gravano sul sistema detentivo e che viviamo anche sulla nostra pelle. Per noi è un’occasione, prima, per preparaci e approfondire le questioni e, dopo, per rielaborare gli spunti emersi dialogando con i nostri ospiti. Questo incontro, in particolare, era molto sentito dal gruppo di redazione, e per l’occasione eravamo presenti al gran completo.

Ho potuto cogliere un primo segnale positivo, non appena sono arrivati la presidente, dottoressa Manuela Mirandola, con le magistrate di sorveglianza, dottoressa Denice Minotti, dottoressa Simona Manna, dottoressa Adriana Caravelli, insieme al vicedirettore del carcere, dott. Tazio Bianchi, p. Marcello Matté e il dott. Rahman Keshavarz (Shain) direttore di Casa Corticella. Erano presenti praticamente tutti, sintomo questo di un gradito incontro anche da parte dei magistrati.
Dopo le presentazioni di rito degli illustri presenti per chi, come me, non li conosceva, si è passati subito a porre le domande già preventivamente concordate fra di noi.

Inizialmente il clima era piuttosto teso: dapprima ci siamo presi una meritata “tiratina d’orecchie” da parte della dottoressa Mirandola, in merito ai tanti reclami in seguito ai rigetti di istanze presentate dai detenuti che vanno inevitabilmente a intasare e appesantire il tribunale a tutto discapito di altri detenuti; successivamente abbiamo raccolto tante informazioni di interesse: siamo potuti entrare nelle dinamiche e nelle logiche che sottendono al funzionamento del tribunale, ma, soprattutto, abbiamo apprezzato il racconto aperto e franco della componente umana che ispira il lavoro delle nostre ospiti; l’atmosfera, così, si è distesa.

Sinceramente, aver sentito la dottoressa Mirandola dire che spesso essa stessa si pone il problema se abbia fatto bene o no a concedere una determinata pena alternativa al detenuto di turno, o, al tempo stesso, se sia stato giusto rigettare una misura a un detenuto che forse la meritava, mi ha fatto toccare il senso di umanità che guida chi deve decidere.
In effetti, man mano che venivano poste le domande, l’atmosfera diventava sempre più leggera e ho potuto intravedere in tutte le magistrate che hanno partecipato all’incontro l’atteggiamento umano di cui noi detenuti abbiamo tanto bisogno per non perdere la speranza per andare avanti in attesa che venga il giorno in cui saremo ritenuti pronti per poter essere reinseriti nella società civile.
Proprio in seguito a questo incontro, e a quanto ne è scaturito, mi domando “se non ora, quando?” Ebbene quel momento è proprio ora, è proprio ora il momento che ci infonde appunto la speranza.