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di Filippo Milazzo / “Non è importante quanta galera ti devi fare ma con chi te la fai” è un vecchio adagio carcerario che trova conferma nella quotidianità e nei frammenti di vita detentiva. Ed è ancor più brutto quando sei costretto a provare di persona la veridicità dell’assunto.

Mi è capitato infatti che abbiano messo nella mia cella, che occupavo ormai da diverso tempo, un detenuto tossicodipendente con il quale la convivenza si è da subito palesata molto difficile. A me che ho consumato molti anni della mia vita in carcere certe regole di condivisione di onori e oneri sono molto chiare: mi riferisco soprattutto alle pulizie e al mantenimento della cella in condizioni dignitose. È invece importante che, a chi entra in carcere magari per la prima volta e vive un mondo tutto suo a causa della dipendenza, venga spiegato come affrontare la convivenza forzata in spazi ristretti. Ma ahimè non c’è peggior sordo di chi non vuole o forse non può sentire. E il rispetto e l’educazione sono stati, nella mia esperienza, puntualmente disattesi da parte del nuovo compagno di cella.

Ho cercato di comprendere il suo stato d’animo e la sua difficile situazione di tossico, che per compensare la mancanza di droga, si rifugia nell’assunzione di farmaci durante tutto il corso della giornata.
Ritengo però che questa non possa essere una giustificazione, dal momento che oltre ai farmaci aveva un bisogno smisurato di zuccheri e di dolci. E allora la spesa settimanale per la cella di prodotti come zucchero, caffè, cioccolata e biscotti non durava mai più di 2 giorni. La cosa più grave era che, terminati i prodotti della spesa ordinaria, venivano consumati anche i dolci che compravo personalmente per il colloquio, a cui di conseguenza mi presentavo senza nulla da poter condividere con i miei affetti. Quando ho provato a sottolineare questo mio disagio la reazione è sempre stata negativa, con il rischio di degenerare in diverbi pesanti che avrebbero potuto pregiudicare il mio percorso trattamentale.

Non me la prendo con i detenuti che vengono a loro insaputa assegnati dall’amministrazione penitenziaria alle varie celle, ma con il sistema che dovrebbe, a mio parere, selezionare meglio gli accoppiamenti nelle camere di pernottamento. Una persona che ha bisogno di terapie, non può stare con una persona tranquilla che ha già trascorso diversi anni in carcere e che ha sempre tenuto una buona condotta. A maggior ragione poi se quel detenuto ha già avuto in precedenza problemi con altri detenuti proprio a causa del suo inappropriato comportamento.
C’è bisogno che le carceri siano dotate di apposite sezioni dove sia possibile allocare i detenuti tossici che vivono in astinenza, perché possano essere costantemente seguiti per un supporto sia a livello fisico che psicologico. A Bologna purtroppo non è così e i detenuti sono, senza alcuna osservazione, posti nelle sezioni dove c’è il posto libero.

Ho vissuto, per quanto detto un bruttissimo periodo, in quanto il mio “concellino” mi ha imposto una convivenza in cui sono stato costretto ad auto annullarmi e a rinunciare a fare le cose che ho sempre desiderato fare. Sono sprofondato in una crisi profonda, che è terminata solo quando sono finalmente riuscito a far sì che cambiasse cella. Sono consapevole che il problema si è solo spostato, e che qualche altro detenuto dovrà farsi carico delle difficoltà che ho appena descritto. Ma la vita in carcere è già di per sé molto dura e non ci consente di affrontare questo tipo di problemi in modo altruistico, guardando oltre la nostra dimensione personale.
Ora finalmente sto recuperando la mia serenità e il mio entusiasmo nel riprendere le attività trattamentali e a pensare e denunciare con mente serena ciò che mi è accaduto, e al rischio che ho corso di compromettere quanto di buono ho costruito in questi anni di buona condotta.