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di Joseph Arangio Febbo/Da sempre ho considerato la religione come qualcosa di scaramantico: pregavo il santo di turno quando mi preparavo a commettere reati, quasi che l’intercessione di quella figurina avrebbe garantito il buon esito dei miei propositi.
In carcere tutto però è diverso. Chi affronta questa esperienza il più delle volte ha la possibilità di maturare. Chi si confronta con se stesso cambia il proprio approccio nei confronti del mondo in maniera profonda.

Mi sono avvicinato a Cristo Nostro Signore solo dopo tanto: non ho incontrato subito la fede poiché forse non ero ancora pronto. Sicuramente sono riuscito ad ascoltare la chiamata, tra i tanti rumori che la disturbavano, poiché ho incontrato un religioso che, ispirandomi fiducia, mi ha accolto nel gregge senza farmi domande scomode sul mio passato e soprattutto senza domandarmi il perché quel giorno io fossi a messa.
L’essere consapevole che esiste qualcosa di più grande mi ha reso una persona profondamente diversa. Non si tratta di un cambiamento derivante dall’osservanza ai precetti della fede abbracciata, ma dalla profonda consapevolezza che tutti noi siamo al mondo per un fine superiore. Ho rivisitato in maniera critica la mia vita cosciente: fino a quel momento non solo avevo calpestato ogni regola del diritto naturale, ma soprattutto ero diventato un uomo non in pace con se stesso.

Vedo tanti avvicinarsi agli insegnamenti della Chiesa. Mi rendo conto che molto spesso questo è dovuto all’aspettativa di un tornaconto personale. Io non mi scandalizzo e a volte ne ho piacere poiché mi rendo che sono mille i modi con cui il Signore ci chiama. E così quella che per me è iniziata per mera curiosità per altri lo sarà per una sigaretta, ma in fondo quello che conta è il modo in cui il cammino prosegue.
Ho visto tanti pregare, siano cristiani o di altre religioni. Quello che però più mi colpisce è che le intenzioni delle preghiere quasi mai sono personali. Il carcere insegna cosa sia la vera sofferenza, cosa sia la fame di affetti. E così la preghiera diventa un modo per mantenere un contatto con il mondo esterno visto che il più delle volte si prega con dedizione affinché i nostri cari stiano bene.

Talvolta questo approccio non è pienamente condiviso da tutti: per alcuni è una sciocchezza andare a messa per altri siamo solo degli opportunisti in cerca di un aiuto per un permesso. Non li critico, ma preferisco pensare che ciascuno di loro non sia ancora riuscito ad ascoltare il richiamo del Signore. Il rumore di fondo è forte occorre solo attendere.