di Igli Meta /É da 2 settimane che è cominciato il Ramadan. L’inizio di questo mese è molto sentito dai mussulmani che vivono dietro le sbarre. Si possono, infatti, vedere notevoli differenze nello stile di vita di coloro che lo praticano durante questo periodo.
I detenuti di fede islamica sono, dopo quelli cattolici, la comunità religiosa più diffusa all’interno delle prigioni italiane. Proprio per quest’ultimo motivo vi sono cambiamenti di organizzazione anche da parte dell’amministrazione penitenziaria, che è tenuta a distribuire i pasti con modalità diverse.
Con l’arrivo di questo mese santo aleggia nell’aria un’atmosfera di serenità tale da incoraggiare a intraprendere questa avventura anche a persone che durante l’anno non sono praticanti.
Durante questi 30 giorni il devoto non si deve soltanto astenere dal mangiare e dal bere ma deve purificare la sua anima da tutti quei vizi dell’essere umano (parole volgari, bugie, zizzania e diatribe di qualsiasi genere…) ritenuti peccato.
Quello che colpisce particolarmente è il fatto che in questo periodo dell’anno si osserva una grande fratellanza all’interno dei reparti detentivi. Ciò è dovuto prevalentemente al rispetto che si ha nei confronti di questo evento così sacrosanto. Ne è la dimostrazione il fatto che durante questo mese raramente ci sono liti fra detenuti.
Già dal primo pomeriggio i digiunanti cominciano a preparare la cena, che deve essere di regola abbondante. La cucina diventa un modo per far passare le ore e per reprimere la fame, “mangiando con gli occhi”. Il reparto è pervaso da aromi di qualsiasi genere, che si sentono in lontananza. Ogni recluso cucina qualche piatto tradizionale del proprio paese d’origine e lo distribuisce a sua volta agli altri detenuti digiunanti.
L’odore del cibo che si prepara attira i compagni di altre fedi che si avvicinano intorno a chi cucina. Quest’ultimi ne approfittano per far assaggiare le pietanze e farsi dire se è buono, ma soprattutto se c’è ancora bisogno di sale, visto che chi è a digiuno non può assaggiare ciò che prepara.
Chi sta in carcere non può comprare tutti gli alimenti che vuole per mangiare, poiché c’è una lista fissa dei beni che è consentito acquistare. Quindi chi è recluso da tanti anni non ha nemmeno la possibilità di mangiare quello che gli piace. Insomma una sorta di privazione, non soltanto della libertà personale, ma anche della golosità.
Anche per questo motivo, la direzione dell’istituto bolognese della Dozza negli ultimi anni ha dato la possibilità a chi fa il Ramadan di comprare generi alimentari tipici dei paesi arabi, rispetto ai soliti prodotti autorizzati alla normale popolazione carceraria.
Gesto veramente importante per chi digiuna, poiché si dà la possibilità di sentire sapori e aromi inusuali rispetto ai soliti nauseanti alimenti.
Quando l’orario di apertura delle celle lo consente, alcuni condannati si trovano nella stessa cella e mangiano in gruppo. In questo modo si crea un’atmosfera simile a quella che c’è fuori da queste mura, che rievoca e toglie un po’ di quella nostalgia che tanto ricorda il Ramadan. Gli ultimi minuti sono quelli più intensi, da tutti i punti di vista, perché “non c’è cosa più bella per la persona che il momento in cui interrompe il digiuno”.
Al tramontare del sole, all’orario preciso stabilito dal calendario mensile, e a volte, con il richiamo del muezzin improvvisato, si interrompe il digiuno mangiando alcuni datteri, come tradizione raccomanda.