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di Carla Iannello/“Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”, “Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro”.
Lo diceva non a caso, Pier Paolo Pasolini. E quale modo migliore di mettere in scena uno spettacolo sul calcio e quello che della vita rappresenta, in un posto come il carcere che di sacro nel nostro tempo ha davvero poco.

Prende il nome di “Solo in campo la vita sparisce” l’ultima fatica teatrale a cura del Teatro dell’Argine nell’ambito del progetto “Per Aspera ad Astra” nella cornice della Casa Circondariale di Bologna Rocco D’Amato. La cornice si sa essere abbastanza grigia eppure il quadro è stato particolarmente colorato e vivace. E non bisogna essere esperti d’arte per sapere che per ottenere un bel quadro bisogna saper bilanciare i colori, cercare l’armonia delle forme ed essere anche coraggiosi. E i nostri artisti ci sono riusciti.

I protagonisti di questa tela sono ristretti nella sezione penale dell’istituto bolognese e nel loro background personale non hanno grandi esperienze da attori eppure si sono lanciati sul palcoscenico, o meglio sul campo da calcio. Insieme a loro, due attrici più esperte, Clio Abbate e Bianca Marzolo, che durante tutto lo spettacolo tengono forte e unito il gruppo.
Su un vero e proprio manto erboso che riproduce un campo da gioco prende vita la rappresentazione teatrale. Quella che scende in campo è una coraggiosa formazione ma già dai nomi ironici che si leggono sulle magliette possiamo capire quale piega prenderà lo spettacolo. Da “il professore” a “Una botta e via” per passare a “…” e potremmo continuare. Sì perché nonostante i nomi, o meglio, i soprannomi, la nostra è una squadra di calcio che si vuole prendere sul serio, che si prepara a disputare la sua partita contro degli avversari che ecco, faticano ad arrivare. E allora si alternano tra il campo e il divano presente sullo sfondo perché siamo nell’82 e l’Italia si gioca i mondiali. E no, figuriamoci se possiamo perderci una partita. In fondo il mondiale è esso stesso un allenamento. Il calcio è sempre una cosa seria.

Allora su quel divano si dipinge la natura dell’essere umano quando si unisce al magico mondo del pallone. Perché il calcio sa essere metafora di vita in modo tanto semplice.
E questo spettacolo riesce a mettere in luce, con leggerezza e semplicità, che mentre la palla rotola sul campo verde, il mondo sembra smettere di girare. Attorno a quei 90 minuti non esistono preoccupazioni che vanno al di là del subire e fare goal. E soprattutto nessuno di noi è un semplice spettatore, tutti stiamo giocando la nostra partita. Che sia a bordo campo, che sia sugli spalti, che sia sul nostro divano. E infatti in scena i nostri protagonisti non sono passivi ma contribuiscono con riflessioni, interrogativi e con tanti atti di scaramanzia che ci fanno sorridere e ci fanno ricordare che il nostro è un popolo che ha un grande bisogno di sperare.

Agli occhi degli spettatori è facile seguire lo spettacolo come è facile sorridere e lasciarsi trasportare dai pensieri. Qualcuno starà cercando di ricordare dove ha visto i mondiali dell’82, qualcun altro avrà rivisto scene della propria quotidianità familiare. Ma per gli spettatori è anche facile percepire un’altra cosa: l’impegno. In scena si percepisce il lavoro duro fatto in tutti questi mesi di preparazione e quello che vediamo è un gruppo che si guarda negli occhi e si sostiene. Un gruppo che ci crede. Un gruppo che in un campo da gioco vero correrebbe sempre avanti e indietro e non lascerebbe a terra nessuno dei suoi. Il merito va alla regia, alla sceneggiatura, ai tecnici, a tutti i professionisti del teatro dell’Argine che hanno saputo costruire una squadra forte. Il merito va ai detenuti protagonisti che hanno avuto la voglia di mettersi in gioco perché mostrarsi davanti ad un pubblico non è mai semplice. Ma con umiltà, dedizione e un po’ di passione possono nascere cose belle.

Il modo degli spettatori per far giungere l’apprezzamento per questo bel quadro è quello di stringersi alla fine dello spettacolo in un forte e lungo applauso. Io qui in platea applaudo e accanto a me anche i miei compagni di redazione. Per me e Federica è il primo spettacolo teatrale in carcere, per Chiara e Marcello l’ennesimo. Eppure tutti siamo un po’ emozionati. Penso a voce bassa che in questo posto fatto di cemento, sbarre e cieli tagliati a scacchiera di applausi se ne sentono pochi ma una cosa è certa, sono più veri di quelli che sentiamo fuori. Penso anche che oggi sono fortunata ad assistere a tutto questo e che sarebbe bello che eventi così fossero sempre più comuni e aperti al mondo esterno. Per non far cadere gli applausi nel vuoto e cominciare a dialogare. Solo in campo la vita sparisce ma attorno a noi sono sparite anche le mura. Quel che resta è un grande prato verde, dove nascono attori e speranze.