di Filippo Milazzo / Uscire dal carcere può essere anche drammatico. Dopo tanti anni di vita reclusa forse hai perso la famiglia e tutti i riferimenti che c’erano prima. Se hai la fortuna che i tuoi cari ti sono rimasti vicini allora forse ce la puoi fare, nonostante la montagna di problemi da affrontare. Se sei solo è dura, forse non sai dove andare a dormire e come procurarti ciò che ti serve per sopravvivere, sei abbandonato a te stesso e devi ricominciare tutto daccapo.
Il primo problema è la casa, sogno quasi irraggiungibile da realizzare anche per chi non è stato in galera: affitti proibitivi e richieste di mensilità anticipate rendono impossibile trovare una sistemazione decorosa. Le strutture di sostegno sul territorio non sono sufficienti per fornire aiuto a tutti.
Rimane l’arte di arrangiarsi: dormire in stazione, o in una vecchia auto che non va più, o ancora in qualche edificio abbandonato, inventandosi qualche espediente alla giornata per assicurarsi il sostentamento…
Eppure anche se questa per molti di noi è la dura realtà, durante la detenzione non ci pensiamo perché la mancanza di libertà cancella tutte le altre preoccupazioni, l’unico pensiero è uscire. Immaginando che fuori tutto sarà semplice.
Ma poi il fine pena si avvicina e la paura della libertà cresce inesorabilmente; il ritorno alla “normalità” diventa una prova insostenibile, tanto che qualcuno non ce la fa. Anche il fine pena è uno dei momenti critici del percorso detentivo, perché il fine pena non significa necessariamente la fine della pena.