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di Giovanni G./ Sono dieci mesi che sono recluso al carcere Dozza di Bologna. Chi non ha mai vissuto questa triste esperienza, non può capire la sensazione di libertà che si prova quando, pensando a come per aprire il cancello di casa propria, è sufficiente fare click sull’interruttore. Si arriva in auto, si apre il finestrino, si allunga il braccio verso la colonnina un leggero tocco ed ecco che l’aggeggio di ferro scorre dolcemente sulla guida. Si resta in attesa, senza guardie, recinzioni, sistemi di allarme. Dopo un po’ si richiude, lasciando che le persone passino liberamente senza controlli.

In carcere, invece, vige il sistema della doppia porta, secondo cui il detenuto non può mai trovarsi in un ambiente aperto verso l’esterno: ad ogni porta ne segue un’altra chiusa e sorvegliata. In galera, il detenuto è prigioniero delle sbarre. E non è lui che decide dove stare, dove andare, salvo tentare tentare l’evasione che ha la stessa possibilità di riuscita della vincita alla lotteria di Capodanno.

Il percorso di risocializzazione e di riabilitazione richiede la presa in carico della pena, e cioè il riconoscimento della necessità di restare reclusi. E quando si verificano le condizioni previste dalle norme, previa valutazione del percorso effettuato durante la detenzione, vengono concessi i permessi premio, e cioè la possibilità di trascorrere brevi periodi al di fuori del carcere; in questo caso è richiesta al detenuto un’importante prova di responsabilità, e cioè di rientrare in carcere nei tempi stabiliti, dimostrando maturità e consapevolezza dei propri doveri. Dopo questa prima fase, se tutto va bene, viene valutata la concessione di misure alternative alla detenzione, quali la semilibertà, il lavoro esterno, gli arresti domiciliari. Ecco quindi che si torna pian piano a riassaporare la bellezza della sensazione di essere liberi.

Credo che questo sia sufficiente per assicurare che per la maggioranza di noi osservare le regole non sarà nulla in confronto alla disgrazia di un’esistenza passata in galera, potendo lasciare le celle, le sbarre, i cortili per l’aria, il cibo cotto su un fornello da campeggio.
La libertà può essere una conquista difficile e faticosa, ma è sempre enormemente preferibile alla sofferenza della reclusione. Ci sarà poi il tempo dell’integrazione graduale per interpretare correttamente la realtà, evitando così di ricadere nei comportamenti pregressi, sperando in un’esistenza dignitosa all’interno della collettività.