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di Salvatore Ferrigno/Tutto è nato per caso … che presso il carcere della Dozza sarebbe iniziato un corso di teatro ha suscitato in noi un po’ di curiosità. Se a questo aggiungiamo la prospettiva di un riconoscimento economico per la partecipazione, il richiamo è stato ovviamente forte. Si è quindi creato un gruppo di 13 detenuti: 13 persone diverse per età, per etnia, per cultura, per estrazione sociale, per reato commesso, accomunate comunque dal fatto di essere privati della libertà personale.


L’inizio del corso è stato pressoché disastroso perché gli insegnanti sono dovuti partire da sottozero per impartire i primi rudimenti dell’attività teatrale ai partecipanti. Non nascondo che già dopo la seconda lezione molti tra noi e me per primo avevano maturato l’idea di abbandonare il corso, che risultava noioso facendoci nel contempo sentire alunni delle scuole elementari.
Fortunatamente però, sulla base delle esperienze realizzate in altre carceri italiane, gli organizzatori hanno inserito nel gruppo 3 ragazze: un’attrice professionista, una tirocinante e un’allieva della scuola di teatro.

Il primo impatto è stato molto positivo e siamo stati tutti colpiti favorevolmente dalla loro disponibilità e dalla loro sensibilità, che abbiamo giudicato unanimemente fuori dal comune. In poco tempo si è stabilita tra noi una connessione straordinaria, che strada facendo ha fatto crescere l’entusiasmo e il coinvolgimento di tutti; man mano che sviluppavamo il copione tutti erano positivamente contagiati dall’esperienza.
Aspettavamo l’appuntamento settimanale con tanta voglia di metterci in gioco: anche se sono stati solo pochi mesi, sono stati ricchi e molto impegnativi.
Poi più si avvicinava il fatidico giovedì 9 giugno in cui era stato calendarizzato lo spettacolo più la tensione e l’emozione cresceva.
Due giorni prima siamo potuti andare in sala cinema, perché lì si sarebbe tenuto lo spettacolo, mentre prima le prove le avevamo effettuate nella chiesa della sezione penale.

Siamo rimasti senza parole per ciò che gli organizzatori del corso avevano realizzato, con grande impegno: era stato montato un tappeto di erba sintetica e riprodotto un campo di calcio con un’illuminazione professionale, il salotto era stato allestito con tutti i particolari anni ’80, potevamo disporre di un service audio luci da far invidia ad altri spettacoli professionali, e le nostre divise calcistiche erano lì, pronte con i nostri soprannomi stampigliati dietro la schiena. Ci siamo guardati sbigottiti e preoccupati di non essere in grado di onorare i loro sforzi.
Il programma di giorno prevedeva la doppia esibizione: la mattina per i detenuti del penale e del femminile e il pomeriggio per gli ospiti che si erano accreditati per accedere.

La mattina è stata una sorta di prova generale e nonostante qualche vuoto di memoria e la grande emozione siamo comunque riusciti a portare a termine lo spettacolo tra gli applausi del pubblico. Poi siamo stati gratificati in privato da tutti i nostri compagni che avevano assistito all’evento e che ci hanno caricato per il pomeriggio.
Nel pomeriggio ridevamo e scherzavamo mentre raggiungevamo la sala cinema, ma appena entrati siamo stati presi dal panico. Dal backstage sbirciavamo l’arrivo dei tanti ospiti: la direttrice dottoressa Casella, il responsabile dell’Area Educativa dott. Ziccone, l’assessore del Comune di Bologna Li Calzi, il vicesindaco di San Lazzaro, il Garante Dr. Ianniello. Per noi della redazione di Ne vale la pena la gioia più grande è stata vedere anche la Zia Chiara, Federica, Carla e padre Marcello sentendo che anche questa volta avevano voluto sostenerci.

Più si avvicinava l’inizio dello spettacolo più la tensione si poteva tagliare col coltello, e vuoi per l’ansia o vuoi per il caldo afoso del teatro eravamo tutti sudati e grondanti.
Poi il momento che porterò per sempre nel mio cuore: prima del triplice “merda, merda, merda” della tradizione teatrale, ci siamo riuniti in cerchio e tenendoci per mano abbiamo chiuso gli occhi e abbiamo pensato qualche secondo alla persona alla quale sarebbe stato bello dedicare una buona esibizione. Magicamente questo momento di comune raccoglimento ci ha fatto recuperare le forze mentali e ci ha dato l’entusiasmo giusto con il quale affrontare lo spettacolo.

Sarebbe inopportuno esprimere da parte mia un giudizio sullo spettacolo, ma certo è che l’abbiamo portato a termine nel migliore dei modi, tra gli applausi del numeroso pubblico presente. Questo ci ha reso orgogliosi del lavoro svolto e dell’impegno profuso e ha soddisfatto le aspettative dei nostri insegnanti che sapevano che non sarebbe stato scontato, dopo pochissimo tempo e pochissime lezioni. E oggi cosa mi rimane di quell’esperienza? Tante emozioni e sensazioni, ma in particolare le facce incuriosite e imbarazzate delle tre ragazze durante tutto il percorso. Man mano che ci conoscevano si aprivano e cominciavano a raccontare della loro vita e noi della nostra. I nostri dialoghi fitti sono stati normali ma in carcere assumevano un valore particolare. Al punto che quelle ore trascorse in loro compagnia mi hanno fatto dimenticare la mia personale situazione di persona detenuta e sentire finalmente libero.