image_pdfimage_print

Pasquale Acconciaioco/All’improvviso chi entra in carcere lascia la vita terrestre e si ritrova su un altro pianeta. È un posto povero, circoscritto dalle mura di cinta che lo separano dalla ricchezza della vita.

Qualsiasi essere umano in carcere è povero . Ma di quale povertà stiamo parlando? Di quale vita povera? Manca, ovviamente, la libertà e manca, in un certo senso, ogni forma di vita. Le mura grigie sono l’unico orizzonte, gli odori e i rumori sempre gli stessi, sempre le stesse le persone, sempre gli stessi i movimenti, fino all’ultimo giorno di detenzione. È un luogo molto simile a un cimitero: forse c’è un po’ più di movimento, ma la monotonia è la stessa. Anzi, nei cimiteri ci sono i fiori, ci sono gli odori e si vivono emozioni, pur dolorose. Manca l’essenza della vita: la natura, i fiori, gli alberi, gli animali e soprattutto mancano le figure femminili. Andiamo a scuola separati, viviamo separati e questo ci rende insignificanti. Quindi siamo in un pianeta povero, isolato e innaturale, popolato solo da figure maschili, costrette, per sopravvivere, a inventarsi la vita vera, immaginandola e desiderandola. E in questi periodi di pandemia siamo ancora più poveri, ancora più esclusi dal mondo reale.

Anche la povertà materiale segna l’esistenza di tanti di noi. Per tenere una corrispondenza servono i francobolli, che non sempre ci possiamo permettere. Per non parlare della tecnologia che fuori permette i contatti e le connessioni. Qui la tecnologia è arretrata, concessa col contagocce, e non a tutti, perché non tutti hanno i mezzi per utilizzarla. E quando organizziamo una partita a calcio, non tutti possono giocare perché non hanno le scarpe, e a volte manca anche il pallone, un pallone con cui si riesca davvero a giocare.

Per essere ricchi dentro è necessario avere qualcuno vicino. E qui non è facile. I volontari, per come possono, colmano il vuoto, ma non può bastare. A volte penso che qui, da soli, sia impossibile farcela. Mi sento come una formica isolata dalle sue simili… magari ho la briciola di pane, ma non so dove portarla. Sono isolato, e questo mi fa sentire come annientato e povero di iniziativa e creatività. A pensarci bene, la povertà che mi pesa di più è la solitudine: sento il bisogno di interagire con le persone e di trovare la ricchezza della gioia, della felicità, del sorriso. Vorrei che qualcuno mi facesse ridere, in questo modo mi sentirei più ricco, anche se sto parlando di qualcosa che non ha un valore materiale; qui le cose materiali, a cui diamo tanta importanza, alla fine in realtà non hanno nessun valore: forse ci aiutano a vivere un po’ meglio, ma quello che ci vuole è ben altro.

Ridere per non piangere… forse questa è la ricetta per sopravvivere qui. Mi viene in mente la frase di Totò, “Signori si nasce, e io modestamente lo nacqui”. Qui si può parafrasare cosi: “Ricchi dentro si nasce, esclusi si diventa, poveri del nostro tempo e della vita”.