image_pdfimage_print

di Giulio Lolli / Con l’edizione 2024 della Settimana della Giustizia riparativa, presentata dall’assessore Rizzo Nervo e dal provveditore Enza Rando, anche quest’anno la direttrice del carcere della Dozza, Rosa Alba Casella, si è spesa in maniera mirabile, con il prezioso aiuto della funzionaria giuridico-pedagogica Krizia Stella e degli operatori del carcere, per cercare di rendere comprensibile ai detenuti la rivoluzionaria idea della giustizia riparativa.

Notevole il livello degli ospiti, tra i quali hanno spiccato gli interventi del cardinale Matteo Maria Zuppi e dell’ex P.M. Gherardo Colombo. L’unicità dell’esperienza come mediatore nei teatri di guerra di mons. Zuppi ha permesso di mostrare ai partecipanti, con due esempi di livello internazionale, la validità della mediazione e lo spirito con cui deve essere intrapresa. Infatti è stato lo spirito bellicista di Vladimir Putin, che non ha voluto incontrarlo, a fare fallire il faticoso tentativo, voluto dalla Santa Sede, di portare la pace in Ucraina; la mediazione ha comunque permesso il ritorno alle loro famiglie di centinaia di bambini ucraini rapiti dai soldati russi.
Si concluse invece con la pace la mediazione che il cardinale Zuppi condusse nel 1992 tra il governo del Mozambico e il partito di Resistenza Nazionale, i cui rappresentanti ebbero lo spirito di incontrarsi dopo una lunga guerra civile: in questo caso la mediazione ha portato una vera pace, a cui è seguita la nascita di una democrazia.

Altrettanto incisivo è stato l’intervento dell’ex P.M. Gherardo Colombo, che ha ricordato di aver lasciato il suo ruolo proprio dopo essersi reso conto dell’inutilità di mandare persone nelle carceri italiane, dove la finalità di recupero sociale viene inesorabilmente disattesa.
Colombo è sempre stato un sostenitore della giustizia riparativa, proprio in quanto può offrire un nuovo paradigma per la giustizia, che mette al centro la persona e non il burocratico processo penale, incapace di rispondere alle esigenze delle vittime e della società causate dalla commissione di un reato.

A questo riguardo sono stati preziosi gli interventi dell’avvocato Claudia Landi, che ha chiarito gli aspetti pratici entro i quali la giustizia riparativa può trovare applicazione, e della prof.ssa Susanna Vezzadini. La docente di Scienze Politiche e Sociali ci ha ricordato che la giustizia riparativa non disconosce la responsabilità individuale passata, che però si può trasformare nella responsabilità di mantenere nel futuro l’impegno della fiducia, conquistata durante la mediazione, tra autore e vittima del reato e tra autore e società. Imparare l’empatia attraverso l’oggetto emozionale è quanto ci ha fatto provare la prof.ssa Maria Rosa Mondini del Centro Italiano di mediazione e formazione della mediazione dell’Emilia-Romagna, che ci ha mostrato come un quadro, una poesia o una riflessione possano farci entrare in contatto con noi stessi e con gli altri.

Straordinarie anche le testimonianze di Matteo Luzza e Manlio Milani che, insieme al potentissimo film di Vito Palmieri “La seconda vita”, hanno concretizzato in diverse forme il concetto di giustizia riparativa. Il successo di questa iniziativa è stato confermato dal numero dei detenuti che hanno abbracciato convintamente questo percorso, i quali hanno voluto sottolineare la speranza che la proposta di cambiamento culturale della giustizia riparativa possa illuminare anche la direzione del carcere.
Infatti purtroppo anche negli ultimi tempi troppe telefonate sono state negate ai familiari, anch’essi vittime con le quali riparare e ricucire i rapporti, troppo disinteresse è stato dimostrato nei confronti delle condizioni detentive e troppe legittime richieste di benefici hanno ricevuto parere negativo, anche nei confronti di persone che hanno dimostrato nei fatti una presa di coscienza delle proprie responsabilità e un profondo cambiamento. Decisioni che, unite alle carenze strutturali del sistema carcerario italiano, portano al fallimentare dato di una recidiva superiore al 70% e alla tragedia della fenomeno suicidiario fra i detenuti, che purtroppo anche qui a Bologna sta proseguendo con inesorabile ed atroce persistenza.

Tuttavia, proprio per volgere lo sguardo al futuro, i detenuti si augurano che i valori della giustizia riparativa – l’ascolto, la comprensione e l’impegno verso il prossimo, il rispetto derivante dal guardare con attenzione chi ha subito e chi ha commesso, il superamento del sentimento della vendetta e la mediazione dei conflitti attraverso il dialogo, la riflessione e la cultura – possano essere estesi anche all’interno delle nostre carceri, Bologna in primis, nei processi penali, nella politica e nell’intera nostra società.