image_pdfimage_print

di EmmeI/ Può mai venire qualcosa di buono dal carcere? Sì, il tempo. Quel tempo impugnato dal giudice come strumento di condanna – dal momento che proprio attraverso gli anni di reclusione inflitti il condannato espia la sua pena – assume altri significati, non un periodo della vita sprecato. Si fa di necessità virtù.
I detenuti trascorrono la detenzione in diverse maniere. C’è chi si dedica allo studio iscrivendosi o riprendendo la scuola, lasciata quando si trovava in libertà, oppure chi, in possesso del diploma, decide di iscriversi all’università.
Altri reclusi hanno la fortuna di lavorare all’interno degli istituti penitenziari. Grazie a questo lavoro percepiscono un salario attraverso il quale si mantengono e spediscono una parte ai loro famigliari fuori.
L’istruzione e il lavoro sono gli strumenti principali di cui la legge si avvale per la rieducazione dei detenuti. A questi due si aggiungono la religione, la partecipazione ad attività culturali, ricreative e i contatti con i propri famigliari e la comunità esterna.

Questo però non può bastare, poiché per alcuni tipi di reati l’ordinamento penitenziario richiede anche la revisione critica del vissuto. Il periodo di reclusione, ossia il presente, dovrebbe essere utilizzato dal detenuto per compiere un percorso di crescita, cercare di analizzare il proprio passato per capire il motivo che l’ha spinto a commettere un determinato reato e progettare così un futuro, anche se incerto, dopo aver espiato la condanna. Percorso questo non facile perché richiede un lavoro intenso su se stessi.

Poi, a differenza della vita fuori dove il tempo scorre molto velocemente e ci sono distrazioni di ogni tipo, un giorno dietro le sbarre non è assolutamente paragonabile a un giorno di libertà. Tutto ciò necessità di molta pazienza e il segreto della pazienza è fare qualcosa nel frattempo.
Infine, accade non di rado che il detenuto, dopo aver svolto un ottimo percorso e aver espiato una condanna molto lunga, sia pronto per essere reinserito nella società. Ma ciò non può avvenire, perché gli mancano ancora tanti altri anni da espiare.
In casi simili non si riesce a capire la ragionevolezza di pene altissime. Poiché, se è vero che la pena può dare frutto, quando il frutto è davvero maturo, è tempo di raccoglierlo altrimenti marcisce. Quindi, in situazioni simili la funzione della pena non è più rieducativa, ma soltanto punitiva. Se non peggio, ossia una misura che toglie speranza e dignità ad essere umani.