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di Fabrizio Pomes/ Il passaparola attivato nei corridoi della sezione penale della casa circondariale di Bologna da parte di chi aveva partecipato al precedente laboratorio di teatro è stato accolto, nonostante l’iniziale scetticismo, da un nutrito numero di detenuti. Le domande iniziali erano tante: recitare per chi? Che ce ne facciamo dell’attestato di attori? Solcheremo palcoscenici in giro per l’Italia? L’ho fatte in altre carceri e non è servito a nulla, e ora anche qui?
Ma i dubbi non hanno frenato la voglia di ripartire dopo la chiusura di tutte le attività dopo l’emergenza sanitaria e il desiderio, da parte dei detenuti, di riappropriarsi delle occasioni di risocializzazione. Ai primi incontri eravamo una quindicina, poi, come sempre capita, ognuno ha deciso se proseguire o meno in base alle proprie attitudini e sensibilità; siamo quindi rimasti una decina.

E’ difficile descrivere l’esperienza, perché è una sintesi di umanità, professionalità, impegno e dedizione tanto da parte degli “insegnati” quanto da parte dei detenuti. Insegnati forse è una parola impropria, perché ci riporta ai tempi della scuola, mentre in realtà i conduttori dell’attività sono giovani scenografi, attori e video maker che si sono impegnati con amore ed entusiasmo a fornirci gli strumenti per approcciare l’esperienza teatrale; con il sorriso sono riusciti anche a contenere l’esuberanza dei detenuti che sempre si manifesta nell’incontro con realtà esterne al carcere.

Il lavoro che ci ha visti impegnati nei primi mesi del progetto ha previsto la realizzazione di un cortometraggio e di un documentario oltre che lo studio teorico che ha spaziato da Shakespeare a Brecht fra i vari generi teatrali quali il teatro antico, la commedia dell’arte, il melodramma, l’opera lirica, fino al teatro dell’assurdo. Un lavoraccio per Paolo, Giacomo e Mattia, che si sono prodigati con grande sensibilità, con il coordinamento artistico di Micaela, a tirare fuori dai partecipanti tutte le migliori qualità teatrali, ma soprattutto umane. E’ stata infatti una bella sfida far recitare monologhi del Misantropo di Moliere, del Re Lear di Shakespeare, del Minetti di Thomas Bernhard, delle Tre sorelle di Checov o dell’Enrico IV di Pirandello a detenuti che litigano anche con la più elementare lettura. Il prodotto finale è un miracolo nato dalla corrispondenza empatica fra detenuti e tutor e dalla magia operata da Marco che ha curato le riprese e i montaggi. Alla fine, contro ogni più ottimistica previsione, il lavoro è stato completato e presentato il 22 dicembre scorso al teatro dell’Argine di S. Lazzaro nell’ambito della terza edizione di Per Aspera ad Astra.

In Assenza – storie di teatro in carcere ai tempi della pandemia, è il titolo dell’evento che è possibile vedere sulla pagina Facebook del Teatro dell’Argine. Il progetto Per Aspera ad Astra sostiene il lavoro di diverse compagnie teatrali all’interno delle carceri, un lavoro fatto di formazione, di creazione artistica, di scambio. La capacità delle diverse compagnie di fare sintesi per riconfigurare il carcere attraverso la cultura e la bellezza è sto promosso da Arci e sostenuto dall’impegno economico di fondazioni bancarie, nel caso emiliano di Fondazione Del Monte di Bologna e Ravenna.

Abbiamo quindi sperimentato il laboratorio teatrale come attività particolarmente viva, uno specchio critico con cui analizzare le grandi questioni sociali, svelando l’ipocrisia di una società fintamente “per bene”. Prendiamo allora in prestito l’Amleto “il vero scopo del teatro, dai suoi inizi sino ad ora, era ed è porgere, per così dire, uno specchio alla natura; mostrare alla virtù il proprio aspetto, al vizio la propria immagine e all’epoca nostra, al corpo intimo del tempo, la propria forma, l’impronta che stampa”. E guardandosi in quello specchio Amleto vede un uomo che non riesce più ad agire senza prima pensare, a scindere l’azione dal pensiero. Amleto è un uomo che dubita, il mondo di Amleto è il nostro, un mondo a misura d’uomo, il cui peso delle azioni ricade completamente sull’uomo.