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La redazione/ Per gli spettatori intervenuti alla Dozza per assistere allo spettacolo teatrale della compagnia dei detenuti guidati da attori del Teatro dell’Argine, è stata una vera sorpresa trovarsi in un vero e proprio ristorante, allestito sia per il pubblico che per gli attori.
Lo scenografo Nicola Bruschi ha pensato proprio a tutto, con tavoli apparecchiati come nei migliori ristoranti e con l’allestimento della cucina con pentole e tegami fumanti; la costumista Clio Abbate ha vestito tutti gli attori con abiti professionali da camerieri e cuochi.

Mercoledì 10 maggio è andata in scena, sia la mattina che il pomeriggio, la rappresentazione teatrale “Hell’s Kitchen – Dio fece il cibo ma certo il diavolo fece i cuochi”. La novità di quest’anno è che ad assistere allo spettacolo erano seduti insieme le persone private della libertà personale e gli ospiti esterni che avevano prenotato la visione.
La compagnia teatrale era formata da detenuti provenienti da diversi reparti detentivi e con culture ed etnie differenti e da attori del Teatro dell’Argine.
Gli attori erano divisi tra la sala e la cucina. In cucina, guidati dallo chef Tommaso Russo, c’erano Flavio Cenci, Mohamed Grani, Giovanni Gugliotta, Athos Vitali, Antonio Lanzetta, Clio Abbate ed Eolo Pompa. In sala il maître Fabrizio Pomes e i camerieri Maurizio Bendini, Artem Bulba, Ervin Deda, Joshua lyense, Francesco Turco e Ayoubi Sahnouni. La parte del vagabondo era recitata da Pietro Piazza e quella del titolare del ristorante da Giacomo Armaroli.
Lo spettacolo, con la direzione artistica di Micaela Casalboni, è stato scritto da Mattia De Luca che si è ispirato all’opera inglese “My kitchen”; la regista attenta è stata realizzata da Giulia Franzaresi e le luci e l’audio sono state curate dai tecnici Eva Bruno e Manuel Carrabs.

Lo spettacolo è stato il completamento del corso di formazione professionale nei mestieri del teatro realizzato dal Teatro dell’Argine nell’ambito del progetto “Per Aspera ad Astra”, finalizzato a portare cultura e bellezza in carcere coinvolgendo una quindicina di case circondariali e di compagnie teatrali sparse in Italia grazie al contributo finanziario di fondazioni bancarie come le Acri e la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.
“Tutto il mondo è un palcoscenico” diceva William Shakespeare, “e gli uomini e le donne sono soltanto attori. Hanno le loro uscite e le loro entrate e nella vita ognuno recita molte parti”. Se, come già fece Arnold Wesker, sostituiamo la parola “palcoscenico” con la parola “cucina”, e se lasciamo abitare questo nuovo universo da “cuochi” invece che da “attori” la frase regge comunque e così anche questa nuova metafora.

Lo stesso si può dire se al “ristorante” sostituiamo il “carcere” e se pensiamo di sostituire i “cuochi” e “camerieri” con “persone private della libertà personale”: l’allegoria resta intatta.
Lo spettacolo tratteggia un luogo a socialità forzata come quello del carcere/cucina, che produce quotidianamente litigi e tensioni, tante volte provocati dal vivere spazi ristretti con persone di culture, etnie, religioni e lingue differenti.
L’unico sogno che i detenuti producono è quello di sperare che un giorno il carcere non ci sia più, e che venga superato nella sua attuale concezione. Si rendono però conto di quanto questo sia poco realizzabile e si illudono che un’esperienza così negativa possa diventare solo un ricordo.
Di contro sperano in un riscatto possibile, in un futuro in cui, grazie allo studio, possano riscattarsi e ricoprire un posto migliore nella società.
La società, animata da regole egoistiche e consumistiche, considera però i detenuti come feccia, e non disdegna mai di sottolinearne gli errori, considerandoli non come persone ma per il reato che hanno commesso.

Il finale dello spettacolo evidenzia la grande dignità e il grande cuore dei detenuti che, messi da parte dissapori e litigi, trovano la forza di coalizzarsi e di ribellarsi al comune sentire dell’opinione pubblica.
Gli applausi finali del numeroso pubblico intervenuto e nel quale abbiamo intravisto la direttrice della casa circondariale di Bologna dott.ssa Rosa Alba Casella, i volontari del laboratorio di giornalismo, quelli dell’associazione Liberi di studiare, quelli di Eduradio, il presidente del patronato Acli, e consigliere comunale Filippo Diaco, il cappellano padre Marcello Matté con il direttore della Casa Don Nozzi, hanno salutato l’impegno profuso da tutti nel mettere in scena, non senza fatica, lo spettacolo.
E ora appuntamento al prossimo corso di teatro e al prossimo evento.