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di Giulio Lolli / Da circa trent’anni, con l’avvento di Mani pulite, la verità giudiziaria è stata sostituita da processi sommari condotti da giornalisti e opinionisti i quali, amando suonare il piffero di pubblici ministeri con l’incanto della manetta facile, hanno distrutto centinaia di vite e carriere.
Il Governo Meloni sembrava voler porre rimedio agli eccessi mediatico-giudiziari del passato, attraverso l’approvazione di una legge che limita la pubblicazione delle intercettazioni e delle ordinanze cautelari. In realtà la poderosa macchina mediatica di cui dispone l’attuale esecutivo (Rai, Mediaset, Gruppo Angelucci, Mondadori ecc.) continua oggi a condannare e assolvere, facendolo non più per simpatia, antipatia o guadagnare share, ma univocamente in base all’appartenenza politica dell’imputato di turno. Se quest’ultimo è un politico di centrodestra, o fa parte di una categoria cara a quell’area (burocrate o impresario legato al governo, membro delle forze dell’ordine, vendicatore, possibilmente armato, di reati subiti ecc.) sarà inesorabilmente una vittima delle toghe rosse; se invece è un politico o un appartenente ad una categoria vicino alla sinistra (attivista delle ONG, immigrato, manifestante, disoccupato, fuori gender classico, detenuto), sarà un pericoloso delinquente che deve marcire in una cella.

“Buttare via la chiave” rappresenta, infatti, il picco elaborativo sulla questione penitenziaria partorita da buona parte di quella classe dirigente che l’attuale esecutivo ha nominato per gestire l’Amministrazione penitenziaria, il più icastico dei quali è il sottosegretario con delega alle carceri Andrea Delmastro. Il mega giustizialista che gode nel vedere mancare il respiro ai detenuti, ma non si dimette nemmeno dopo essere stato condannato (nuovamente visto che lo era già stato per guida in stato di ebrezza) a 8 mesi di reclusione e un anno di interdizione dai pubblici uffici per violazione di segreto d’ufficio.

Se i vari guai di Delmastro sono l’ennesimo imbarazzo per il Governo Meloni, la fuga di Andrea Cavallari, il giovane condannato a 11 anni di reclusione per i fatti di Corinaldo, che ha fatto perdere le sue tracce durante un permesso concesso per discutere la laurea, rappresenta il caso perfetto sia per avvalorare la tesi del “devono marcire in carcere” (che proprio per essere semplicistica tra semplicismi viene accolta anche dalla maggior parte dell’opinione pubblica), sia per attaccare la magistratura. Intere trasmissioni televisive e titoli dei giornali sono stati dedicati a massacrare la Magistratura di sorveglianza (e a catena educatori, criminologi e, ovviamente, i detenuti) che ha osato sbagliare uno dei circa 30.000 permessi positivamente finalizzati annualmente in Italia, i quali contribuiscono concretamente a rendere più sicuro il nostro Paese.
Perché è questa la verità che il Governo Meloni, tutto ordine e sicurezza, tiene deliberatamente nascosta all’opinione pubblica: torna a delinquere il 69% di chi sconta la pena interamente in carcere e solo il 15% di chi lavora all’esterno o ha usufruito di benefici e misure alternative. Dati dirimenti che anche la RAI – emittente di Stato cui spetta il compito di mettere al corrente gli italiani di molte cose delle quali sono in genere digiuni – ha mai divulgato.
Ancora peggio della vuotaggine mediatica è riuscito a fare l’ondivago ministro Nordio, che solamente due anni fa chiedeva ai magistrati di “lavorare per superare una visione carcerocentrica della pena” e oggi avvia un’istruttoria contro un magistrato che ha semplicemente seguito le sue stesse indicazioni oltre che le direttive dell’Ordinamento penitenziario. Pochi giorni prima, sempre presso l’Alma Mater di Bologna, un giovane ergastolano aveva discusso la sua tesi di laurea libero come Cavallari; un fatto che nessun giornalista aveva rimarcato anche perché non era stato né il primo né, si spera, l’ultimo.

Viene infine da chiedersi quali feroci ispettori verrebbero inviati dal Nordio che ha permesso al torturatore libico Al Masri (del quale chi scrive è stato vittima e testimone chiave presso la Corte Penale Internazionale) di essere liberato e ritornare trionfante su un volo di Stato in Libia insieme a tre dei suoi peggiori sgherri; dal ministro che ha appena affermato, in riferimento al caso Cavallari, che la certezza della pena, un dovere per le vittime, “è diventata una astrazione metafisica”.
Qualunque cosa essa sia, è ciò che hanno ricevuto le donne e gli uomini attualmente nelle mani di Al Masri, che avrebbero potuto godere di un barlume di speranza se Nordio avesse agito come fanno, a volte anche sbagliando, centinaia di magistrati di sorveglianza ogni giorno: con dignità, onore e rispetto della Costituzione nella quale, come ricordato dallo stesso Nordio prima del caso Cavallari, la parola carcere non esiste.