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di P. F. L. / C’era una volta il Polo Universitario Penitenziario presso il carcere di Bologna, nello specifico alla sezione I° D.
La sezione I° D è stata per oltre 10 anni quella sezione in cui gli studenti universitari potevano coltivare la loro propensione allo studio, in un ambiente ideale: saletta per la socialità adibita a Biblioteca Universitaria, fotocopiatrice a disposizione e terminali collegati al sito dell’Alma Mater Studiorum grazie ai quali poter dare un’occhiata al piano di studi, spulciare i contenuti e il materiale sul quale preparare l’esame, verificare la registrazione degli esami e vedere pian piano il proprio libretto online completarsi, esame dopo esame, fino al raggiungimento della laurea.

Una sezione adibita per gli studenti universitari, con la possibilità di stare in cella singola per avere la possibilità di studiare la sera o la mattina presto, e con l’insolita presenza (insolita perlomeno per chi ha vissuto in altre patrie galere italiche) di mensole vere di legno e non auto costruite con il cartone, mensole sulle quali poggiare libri, materiali, appunti, tanto preziosi e da custodire con infinitesimale cura per proseguire gli studi in maniera appropriata.
Insomma, qui lo studente era al centro del percorso trattamentale, e la gratificazione data dallo studio arrivava non solo dal superamento degli esami, ma anche dalla possibilità concreta di poter seguire il percorso universitario anche se recluso, grazie agli strumenti didattici messi a disposizione dall’Università e alla possibilità di vivere la carcerazione in cella singola (come prevede tra l’altro l’Ordinamento Penitenziario) e non in una condizione di cella doppia, che è in realtà sinonimo di sovraffollamento. Sovraffollamento al quale noi detenuti oramai ci siamo meramente abituati dato che, purtroppo, ad oggi vivere in cella in 2 è la normalità: anzi, quasi che devi farti il segno della croce perché in altre carceri potresti ritrovarti in tre od addirittura in quattro a sopravvivere alla tua vita-non vita in soli 7 metri quadri.

I percorsi trattamentali sono quelli che dovrebbero in teoria spezzare quella spirale di recidiva che si crea con la porta girevole tra carcere e territorio (o, come la definisce Ruggiero nel 2011 in “Il delitto, la legge, la pena. La contro-idea abolizionista”, la porta girevole tra carcere e zone carcerarie sociali). Infatti, spesso e volentieri, in realtà il carcere, piuttosto che essere un luogo di rieducazione e risocializzazione, diventa un vero e proprio luogo dove apprendere nuove tecniche per delinquere.

La sezione I° D è stata per anni condivisa con i detenuti del Giallo Dozza Rugby Bologna, la squadra di Rugby del carcere di Bologna, e questa convivenza è andata avanti fino a Settembre 2024, quando è stata presa la decisione irrevocabile di trasferire il Polo al Reparto Penale. Un cambiamento lento e inesorabile, lento come la burocrazia e le istituzioni totali carcerarie (vedi Goffman, 1978), istituzioni che fanno dell’attesa un’arma a loro vantaggio per ricordare ai detenuti che alla fin fine si è pur sempre in galera.
All’oggi, quindi, il P.U.P. è stato spostato al Reparto Penale, dove finalmente anche gli studenti qui reclusi hanno la possibilità di usufruire quotidianamente dei libri del Polo e del Fondo Pavarini, una biblioteca rimasta chiusa e inaccessibile per anni e lasciata in eredità al carcere ed a tutti i detenuti della Dozza (e non solo agli studenti universitari!) da parte del Prof. Pavarini, noto sociologo e convinto sostenitore delle teorie abolizioniste riguardanti il sistema penale ed il sistema penitenziario.
Insomma, la coperta è corta: se prima erano gli studenti del I° D ad essere definiti “privilegiati”, ora il Polo è riservato agli studenti del Penale, facendo rimanere senza uno spazio apposito adibito allo studio tutti gli studenti del Reparto Giudiziario.

Tuttavia, anche questa soluzione non è definitiva, e ancora una volta, a causa del sovraffollamento, il percorso trattamentale e nello specifico il diritto allo studio viene completamente asfaltato. Questo non è un fenomeno nuovo, bensì secolare: già nel 1600, nel Penitenziario di Amsterdam si verificarono dei conflitti tra gli interessi di sicurezza del carcere e la scuola, con ovvia conseguenza la completa scomparsa della scuola verso la fine del XVII Secolo. Anche Skaalvig e Stenby nel 1981 in “Skole bak murene” ci ricordano che in caso di simili contrasti all’interno dei penitenziari, a soccombere sono gli interessi pedagogici. Il totale smantellamento del Polo dal I° D è datato 8 Febbraio 2025, con conseguente accatastamento dei terminali di Unibo in una stanzetta chiusa al Penale; a breve però, anche gli studenti di questo reparto non avranno più a disposizione uno spazio dove studiare.

Una serie di spostamenti che, oltre a dimostrare come le vite dei detenuti vengono impacchettate stile spedizioni di Amazon con ordini dall’alto (vedi il trasferimento dei detenuti delle due sezioni di Alta Sicurezza in altri carceri), porteranno i detenuti del Reparto Penale a trasferirsi al 3° Piano del Reparto Giudiziario al posto dell’Alta Sicurezza per lasciar spazio alle sezioni di giovani-adulti che andranno ad ospitare ragazzi dai 18 ai 25 anni provenienti da carceri minorili fatiscenti e sovraffollati. Tralasciamo i commenti riguardo alla reintroduzione da parte di questo governo giustizialista di sezioni di ragazzi nelle già iper-affollate strutture penitenziarie per adulti, senza aver preso alcun provvedimento deflattivo riguardo il sovraffollamento, nonostante proclami e decreti umanizzanti annunciati in pompa magna. Un pessimo incastro insomma: un giro di vite e di detenuti, e come nel cubo di Rubik si prova a trovare una soluzione mossa dopo mossa al sovraffollamento, ma non riuscendoci si creano in realtà sempre nuove problematiche e facciate multicolori che rendono impossibile la realizzazione del rompicapo.

Ed in tutto questo, che fine farà il Polo Universitario Penitenziario? Polo che, oltre ad avere già problematiche organizzative e burocratiche riguardo la fissazione degli esami universitari e che sopravvive solo grazie all’immane impegno dei delegati del rettore per università e facoltà e grazie ai volontari dell’Associazione Liberi di Studiare che organizzano lezioni e tutoraggi per i detenuti-studenti, non avrà neanche più un luogo fisico dove studiare e preparare gli esami.
Ci auguriamo in tutto questo marasma che la Direzione dia la possibilità di accesso agli studenti Universitari di tutto il carcere (e non solo a quelli di un reparto) al Fondo Pavarini; oppure che possa istituire e adibire anche una sala apposita per i detenuti universitari del Giudiziario, dotandola degli strumenti didattici necessari minimi (fotocopiatrice e terminali di UniBo).

Questo è il minimo per cercare di smentire quella vecchia teoria, in realtà abbastanza attuale, che Rothman sviluppa nel 1980 in “Conscience and Convenience: The Asylum and Its alternatives in Progressive America”. Rothman ipotizza un patto tra operatori del sistema penale e riformatori politici nella misura in cui si creano le condizioni per il fallimento della riduzione della criminalità e del reinserimento sociale del reo, perpetrando la sopravvivenza e la riproduzione del sistema penitenziario. Inoltre, come già detto, in caso di conflitti tra interessi carcerari e pedagogici sono i secondi a soccombere. Riportando gli esempi citati alla realtà della Dozza, far sì che il diritto allo studio non sia pienamente fruibile da parte dei detenuti-studenti universitari può essere una chiara indicazione di come quest’ultimo non sia considerato un adeguato percorso trattamentale: c’era una volta il Polo Universitario Penitenziario, cerchiamo di ricrearlo in modo funzionale per tutti gli studenti universitari reclusi senza creare esclusioni di sorta.