di Athos Vitali/Nelle carceri italiane, dove la quotidianità è spesso segnata da solitudine, sofferenza e disperazione, la speranza rappresenta un bene raro e prezioso. È un sentimento fragile, ma capace di resistere anche alle condizioni più difficili. Alla Dozza poi la situazione si è notevolmente aggravata nell’ultimo periodo per l’arrivo dei giovani adulti dagli IPM e ciò ha comportato uno sconvolgimento soprattutto nella sezione penale, che è stata privata dal poter usufruire quotidianamente dell’area verde quotidianamente, dei laboratori e della palestra del piano terra. Il 2025 registra, come l’anno precedente, un bilancio inquietante: suicidi e atti di autolesionismo nelle carceri italiane nei primi sei mesi dell’anno, segno di un disagio profondo e di una crisi sistemica che non può più essere ignorata. Sovraffollamento, carenza di personale, mancanza di opportunità di riabilitazione e un crescente senso di abbandono sono problemi cronici che affliggono il sistema penitenziario. In questo scenario, la speranza rischia spesso di spegnersi, lasciando spazio alla rassegnazione e alla disperazione.
Eppure, proprio in questo contesto di emergenza, la voce della Chiesa e, in particolare, quella di papa Francesco si è fatta sentire con forza, richiamando l’attenzione sulla dignità e sui diritti dei detenuti, e offrendo loro un messaggio di vicinanza e di riscatto. La sua scomparsa ha lasciato sgomenta la popolazione detenuta, indipendentemente dalla fede professata, e il conclave per l’elezione del nuovo pontefice è stato vissuto intensamente, con un tifo quasi calcistico nella speranza che l’arcivescovo di Bologna, il cardinale Zuppi, potesse assurgere al soglio pontificio.
L’elezione di papa Leone XIV, dopo un primo momento di legittima delusione, ha rappresentato per molti detenuti un momento di svolta, carico di aspettative e di emozioni. Il nuovo papa, nel solco tracciato da Francesco, ha scelto di mettere al centro del suo pontificato i poveri, gli esclusi e coloro che vivono ai margini della società, tra cui i detenuti.
Durante una recente udienza generale in Piazza San Pietro, alcuni detenuti della Casa
circondariale di Rebibbia hanno avuto la possibilità di partecipare grazie a un permesso
premio; hanno portato in dono al pontefice una Croce della Speranza, simbolo di un
desiderio di rinascita e di un legame profondo tra chi vive la detenzione e la Chiesa. Il papa
ha sottolineato come la fede e la speranza siano strumenti per affrontare la povertà
materiale e spirituale, e come la carità e la giustizia debbano essere i fondamenti di una
società più umana e inclusiva.
Ma non sono solo le parole a fare la differenza. La Chiesa di Bologna, attraverso le sue
comunità e i movimenti del volontariato, continua a offrire sostegno e percorsi di
reinserimento a chi esce dal carcere o si trova ancora recluso. Le testimonianze raccontano
di vite segnate dalla sofferenza, ma anche dalla possibilità di rinascere grazie all’amore e
all’accoglienza ricevuti. Ex detenuti, ex tossicodipendenti e persone segnate da storie difficili
hanno trovato nella fede e nella solidarietà una nuova ragione di vita, diventando a loro volta
testimoni di speranza per gli altri.
Nonostante le difficoltà, la speranza in carcere non è solo un’utopia. È un percorso, spesso lungo e faticoso, fatto di piccoli passi, di gesti di solidarietà, di parole di conforto e di occasioni di riscatto. La speranza in carcere non è solo un sentimento privato, ma un diritto che deve essere tutelato e promosso da tutta la società. È responsabilità delle istituzioni, della Chiesa e di ogni cittadino non lasciare soli i detenuti, ma offrire loro le condizioni per ricostruire la propria vita.
Come ricorda papa Leone XIV, la speranza è un’ancora che tiene saldo il cuore anche nei momenti più bui, e che può trasformare la realtà se sostenuta dalla fede, dalla giustizia e dalla carità. In un tempo in cui il rischio di chiudersi nell’indifferenza è alto, il messaggio che arriva dalle carceri italiane è chiaro: la speranza è possibile, anche dietro le sbarre. E il nuovo papa Leone XIV, con la sua attenzione e il suo impegno, ne è oggi il simbolo più forte e concreto.





