Quanti dubbi alla Dozza…

di Giulio Lolli / Scrivere da una cella riguardo un argomento come il dubbio, che in tutte le possibili forme attanaglia da sempre il pensiero umano, non è facile. Da appassionato lettore, il mio primo pensiero va ad un quotidiano, il Dubbio, che guarda caso si è sempre dedicato alle cause di coloro che la narcisistica società contemporanea, che ormai ti giudica neanche più per quello che hai ma per quello che puoi comprare, considera lo sporco sociale: i detenuti. In realtà, il dubbio più importante del mondo giudiziario è un’antica indicazione espressa da Giustiniano che non a caso, è stato l’imperatore che portò all’apogeo la civiltà giuridica dell’Impero Romano. È all’interno della sua formidabile raccolta normativa, il Digesto, che è stata per la prima volta redatta la locuzione in dubio pro reo, nel dubbio si deve giudicare in favore degli accusati.

Una massima giuridica che rappresenta l’architrave dei sistemi giudiziari di tutti gli Stati di diritto, e che dovrebbe essere applicata, oltre che in fase processuale, anche all’intero sistema delle garanzie a tutela anche dei condannati. Chi scrive può tuttavia testimoniare che il beneficio del dubbio, per la maggior parte delle procure italiane, semplicemente non esiste. Perché gli innocenti, per quello che è oggi il diritto penale totale auspicato dagli epigoni dell’ex PM Piercamillo Davigo “sono soltanto coloro che ancora non sono stati scoperti di essere colpevoli”. Ma se le Procure hanno ormai abbandonato ogni dubbio, sia per coloro che sono chiamati ad indagare sia nei riguardi delle loro stesse capacità investigative e morali, l’amministrazione carceraria continua non solo ad ignorare Giustiniano, ma anche ogni entità o dato di fatto, che possa far sorgere in loro un qualsivoglia dubbio sul loro modus operandi.

Alcune Magistrature di sorveglianza, le direzioni di molte carceri, i sindacati più radicali degli agenti penitenziari non hanno né hanno mai avuto dubbi che il massimo picco del pensiero politico espresso da Matteo Salvini, “prendeteli e gettate via la chiave”, debba continuare ad essere inesorabilmente concretizzato.

Per coloro che hanno il potere e il dovere di concedere una carcerazione dignitosa e misure alternative, non contano gli appelli del Santo Padre, di ex PM ed intellettuali come Gherardo Colombo o Luigi Manconi, né valgono le impietose relazioni redatti dai Garanti o dalle associazioni per i diritti dei detenuti come Antigone e Nessuno tocchi Caino; nemmeno l’asettico quanto micidiale dato relativo ai suicidi, riesce far sorgere in costoro in dubbio che il modello carcerocentrico che stanno perpetrando a dispetto dell’art. 27 della Costituzione, sia un totale fallimento.

Aumento dell’edilizia carceraria”, è la risposta che il guardasigilli Nordio e l’attuale esecutivo hanno offerto come soluzione all’aumento dei suicidi, proponendo così geometri al posto di educatori e cemento e laterizi invece di lavoro e pene alternative. Il ragionevole dubbio che tale proposta sia una clamorosa corbelleria, potrebbe sorgere al Ministro Nordio con una semplice visita agli istituti, già peraltro edificati, di Bollate e Volterra, dove l’alto livello del trattamento detentivo e l’elevato numero di coloro che beneficiano di misure alternative, è inversamente proporzionale alla bassissima recidiva. Quest’ultimo un altro inesorabile indicatore per capire quanto l’idea che più carcere significa più sicurezza, sia grossolanamente errata.

E anche se per Nordio e i suoi colleghi di partito e governo, visitare le carceri e parlare con i ristretti rimane uno sforzo insuperabile (e quando fatto dall’opposizione meritevole addirittura di un’interrogazione parlamentare), potrebbe almeno andarsi a leggere quei dati forniti da loro stessi: “la recidiva da parte di coloro che hanno espirato la loro pena interamente in cella è del 70%, la recidiva di chi ha avuto accesso a misure alternative è del 20%.

Che l’attuale Governo non abbia nessun dubbio sul fatto che il carcere debba continuare ad essere un magazzino di scarti della società da tenere affollati in un luogo senza prospettive e senza possibilità di reinserimento, è confermato dalla reazione negativa che ha espresso il Ministro Nordio alla proposta di legge dell’onorevole Roberto Giachetti, che consentirebbe ai condannati che hanno dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione di beneficiare di 60 giorni di sconto di pena per ogni semestre, invece degli attuali 45.

Ma se per i nostri governanti non vi sono dubbi che ai detenuti non si debba concedere un po’ di libertà anticipata grazie ai propri miglioramenti personali, chi si trova recluso può invece trovare la libertà proprio nel coltivare dubbi, soprattutto su sé stessi. Perché è da lì che può partire la ricerca di quello che si vuole essere veramente, in modo che una volta giunti alla presa di coscienza del proprio positivo cambiamento, questo non possa più essere soggetto, a nessun dubbio.