L’oblio del carcere

di Piombo /Sono in saletta, assorto nei miei pensieri, e sono in fibrillazione. Mille pensieri si accavallano nella mia mente e frullano nel cervello. In questi mesi ho fatto di tutto per risolvere le necessità che mi riguardano, quelle che richiedevano maggiore attenzione, che andavano seguite, risolte e sbrogliate. Ho fatto tutto ciò che potevo, ho parlato con educatrici, magistrato di sorveglianza, ispettore, Corte d’appello e ci siamo quasi per la banca. Ho mantenuto la parola data a un amico: gli sono stato accanto fino al suo ingresso in comunità, anche quando gli era stato tolto un anno e sei mesi perché non era con me quella dannata sera. Infine, ho finalmente cambiato sezione.
Finalmente ho ritrovato un po’ di pace nei rapporti con i compagni di sezione, mentre nella vecchia erano alquanto altalenanti, in base alle giornate. Ho continuato a tenermi occupato con corsi, impegni vari e ho cercato di risolvere problemi esterni. Sono all’ultimo step a quanto sembra.

Tutto bene direte voi e invece è proprio qui che iniziano i pensieri, quelli che tieni per te, che affronti con te stesso negli attimi di tempo che ti ritagli. Pensieri, a volte pesanti, che ti tolgono il respiro e la lucidità, bloccandoti nel tuo io più recondito, facendo frullare il cervello e attanagliandoti il cuore.
“Quanto dovrò stare dentro?”, pensi. Ti eri fatto un’idea, ma – anche se si pensa che in galera vada tutto a rilento perché lì si deve rimanere e si dice che i giorni si susseguano uno dietro l’altro, a volte uguali, a volte diversi – il mondo va avanti e con esso i propri conti e progetti di libertà.
In sezione si ride, si scherza, si vive la vita del carcere come se nessuno avesse pensieri e tutti fossero pronti ad affrontare le giornate, ma non è quella la realtà. Si parla e ci si muove, chi più chi meno, per combattere e superare i propri ostacoli. A un occhio inesperto, alcune persone sembrano in pace col mondo, affrontando il susseguirsi dei giorni con una tranquillità a volte disarmante; come se avessero accettato di vivere in un limbo, mormorando un rassegnato “Si sta bene, per carità!”. Io, invece, sto combattendo con tutte le mie forze per non cadere in quell’oblio.

Non voglio che le mie giornate siano così, e a quel punto fanno capolino quei pensieri di cui ho parlato: la paura che i tempi non siano quelli pensati, che si passi qui dentro molto più tempo, un tempo ancora indefinito, e che, come persona e carattere, non si sia pronti ad accettare passivamente o in pace con sé stessi.
Per indole fatico ad accettare tutto ciò, ma, come detto, il mondo non si ferma là fuori. Pensi agli amici, a quando li rivedrai e a cosa fare per accorciare la tua permanenza. L’avvocato non risponde alle tue domande, restano inevasi i tuoi dubbi che aumentano e attanagliano mente e cuore, mentre ormai è già ora di chiusura e un velo di malinconia si aggiunge alle tue spalle, alla chiusura del blindo. Pensi e ripensi mentre cala la sera, decidi, o meglio ti ripeti, di pensarci domani, cerchi di distrarti cercando conforto nella lettura, nella tv, ma non riesci e allora osservi il muro accanto a te. I pensieri cavalcano nella tua mente e si accavallano ancor di più finché non ti abbandoni tra le braccia di Morfeo. Domani è un altro giorno e si inizia nuovamente la battaglia a denti stretti, a mente lucida, ma dentro di te tutto si muove come un maremoto. Non lo dai da vedere, ma è così l’oblio, comunque lo si voglia chiamare. No, dovrà ancora attendere, io non sono ancora pronto per lui.