Lo spazio in cella

di Pierloreto Fallanca / E si rientra… in cella. Dopo l’aria, l’allenamento, il corso, il colloquio con gli avvocati e con i familiari, alla fine, sempre in cella torniamo noi carcerati. Ed ecco, iniziamo il tour. Appena entri, hai subito il tavolo, il fedele tavolo dove scrivere, studiare, cucinare, mangiare. È multi-funzione, altro che quelli dell’Ikea. Il tavolo va perfettamente a incastro tra lo stipite del blindo e gli armadietti dove riporre i vestiti. Gli armadietti sono staccati da terra di 20 o 30 cm, e coprono più o meno una dimensione di mezzo metro quadro comprendendo anche il dirimpettaio del tavolo, il termosifone che, sempre staccato da terra, lascia un misero spazio di massimo 40 centimetri di passaggio all’entrata della cella. Ricordiamoci questo dato di spazio incalpestabile, mezzo metro quadro, perché sarà importantissimo in seguito.

Se poi ti va bene, sempre sullo stesso lato, ad incastro tra gli armadietti e la branda, fissata a terra e non removibile, ci entra lo sgabello, così guadagni un po’ di spazio per camminare nel “salone” della cella. Salone che è composto dalle 2 splendide brande di ferro, stile Poltronesofà, che si distanziano, ad essere generosi, di circa 1 metro l’una dall’altra. E lì in mezzo ci incastri il tavolo, di lato, un po’ di sbieco, in diagonale, così ci entri tu, ci entro io, ed anche l’altro per un caffè.

Per guadagnare spazio, ovviamente, tocca alzare il materasso di spugna ed appoggiarlo contro il muro nel corso della giornata, per metterci sopra i cestini vari, che sono le credenze ed i comodini portatili dei detenuti. Ma quando ti chiudono a chiave la sera, il materasso dovrai pure abbassarlo per dormire, e allora daje de Tetris per capire dove passare per andare al bagno. Percorsi complicatissimi stile labirinto, dove diventi il mitologico Teseo e usi il filo d’Arianna per andare al bagno. Bagno che ha la sua porta a 20 cm dalla branda opposta al lato del tavolo, e che restringe la stanza fino a ritornare di fronte ai nostri armadietti.. e ci siamo. È finita la cella, siamo tornati all’entrata-strettoia tra tavolo e calorifero. Per fortuna che non contano i metri quadri per andare in bagno: potrebbe essere un’arma a doppio taglio.. e semmai domani decidessero che per fare i propri bisogni bastasse mezzo metro quadro, t’immagini che angoscia? E sì, perché se ci bastano 3 metri quadri per vivere dignitosamente, chissà quanto grande dovrebbe essere un bagno dignitoso..

Tutti i giorni, da anni oramai, si sente parlare della situazione esplosiva nelle carceri, del caldo insostenibile, dei suicidi, del sovraffollamento. Già, e cosa sarà mai sto sovraffollamento? Ah sì, una cosa per la quale l’Italia è stata condannata più volte dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per “trattamenti inumani e degradanti” nei confronti dei detenuti.
L’8 gennaio 2013 la CEDU accoglieva il ricorso di alcuni ex detenuti delle carceri di Busto Arsizio e Piacenza, ristretti in tre metri quadrati e mezzo di cella a testa, e a maggio 2013 veniva respinto il ricorso dell’Italia. Per evitare ulteriori risarcimenti e non certo per rispettare i diritti dei detenuti, è arrivato così il decreto legge 26 giugno 2014 n. 92, la cosiddetta “Torreggiani”, che stabilisce un risarcimento ai detenuti che hanno subito condizioni di abnorme sovraffollamento o altri trattamenti contrari al senso di umanità. Risarcimento che può consistere anche in un giorno di liberazione anticipata ogni 10 giorni vissuti in condizione di sovraffollamento.

All’oggi, i parametri sono a ribasso. La giurisprudenza è passata da 3 metri e mezzo quadri a 3 metri quadri per una vita dignitosa, escluso il bagno. Inoltre, per evitare di sborsare soldi ci si inventa la Sorveglianza Dinamica: non sei più in cella rinchiuso, per fortuna, ma se esci 8 ore (tra aria e socialità), non ti spetta il sovraffollamento. Certo, perché la notte per i carcerati non conta, dopo un certo orario il carcere chiude, e con esso anche i diritti di chi vi è recluso.

Nel 2025, cos’è cambiato? Nulla. I tassi di sovraffollamento sono al 130%, i suicidi corrono veloci, forse anche quest’anno ci si iscriverà al guinness world record e dei provvedimenti deflattivi del governo neanche l’ombra. Per non dimenticare la dignità che ci viene tolta, noi detenuti proviamo a chiedere ciò che la legge può concederci, ovvero risarcimenti o giorni di liberazione anticipata per il tempo passato in condizioni disumane e degradanti.

Premettendo comunque che la sola metratura non è ovviamente vincolante sulla decisione di condizione di umanità, sfido chiunque a dire che 3 metri quadri siano umani e sopportabili per vivere 3, 5 o 10 anni insieme ad un altro compagno di sventura. Ma andiamo avanti.
A Bologna a quanto pare la magistratura di sorveglianza ha misurato con un righello astratto, immaginario, le nostre celle, quelle dove viviamo, speriamo, sogniamo, soffriamo. Hanno detto che sono di 10 metri quadri. A me non pare. Ma anche volendo concedere il beneficio del dubbio, con funambolici calcoli, a quanto pare abbiamo 6,20 metri quadri calpestabili, vivibili, escludendo brande ed armadietti. Na villa praticamente. Per 2 persone, fanno giusti giusti 3,10 metri quadri di spazio vivibile in cella a testa. Un calcolo a puntino, tanto chi si mette a controllare quei 10/20 centimetri in più? Hanno ovviamente considerato anche quel famoso mezzo metro quadro che possiamo sfruttare solo facendo yoga o giocando a twister. Ma se nel calcolo sottraessimo quella superficie incalpestabile, ovvero quella sotto agli armadietti ed al termosifone, cosa ci rimane? Poco e niente. C’è anche chi scrive nelle sentenze che i detenuti hanno la possibilità di decidere se mettere le brande una sopra all’altra e creare così un letto a castello per guadagnare spazio. Magari chi scrive pensa che abbiamo le chiavi per svitare i bulloni con cui le nostre brande sono inchiodate a terra, e soprattutto che siamo nella posizione di decidere… Quando entri in carcere, ti mettono nella cella e lì devi stare: o letto a castello, o 3 brande, o due per terra, non sei di certo tu a deciderlo.

Allargando la visione, l’orientamento della magistratura di sorveglianza a quanto pare negli ultimi anni ha sempre più un’ottica di restringimento dei diritti, in coerente andamento con la crescente necessità di un riflusso autoritario che sfocia in un diritto penale del nemico.
In realtà il magistrato di sorveglianza dovrebbe vigilare sui nostri diritti, ma.. chiedi la Torreggiani? Non te la diamo perché per 0,10 metri quadri non rientri nei parametri dimensionali. Chiedi i permessi con date fisse e hai pareri favorevoli? Non ti rispondiamo, così non dobbiamo inventarci rigetti insensati. Chiedi la semilibertà e nella pratica hai un articolo 21? Non è un problema nostro, seguiamo il piano trattamentale. Chiedi l’affidamento al lavoro sotto i 4 anni? È presto dai, te lo diamo quando ti mancheranno 1 o 2 anni. C’è sempre una risposta, che pare trovare un ago in un pagliaio, continuamente al negativo, con motivazioni scarne e spesso prive di senso, con cui ti arriverà il rigetto, o forse non ti arriverà proprio. Spesso pare che più che tutelare i diritti, li neghino. E in tutto questo, chi ci tutela? A chi dovremmo rivolgere i reclami per quello che non va nella carcerazione? Forse a chi ci prende le misure dei metri calpestabili durante la carcerazione?

E allora no, così non va. E allora, non lamentiamoci se il numero dei suicidi corre veloce, se il sovraffollamento non diminuisce, se di 60.000 detenuti almeno un terzo potrebbero essere in misura alternativa ma rimangono a marcire in carcere. Perché la nostra dignità non può essere misurata in centimetri, metri o chilometri.